I rapporti con Licio Gelli e Mino Pecorelli, il legame con i fratelli Ghiron, gli inviti a iscriversi alla P2 e un vizio molto particolare: quello per le lettere anonime. È una spy story a tinte gialle quella messa a verbale dal maggiore Mauro Venturi, in servizio al Sid (Servizio Informazioni Difesa) tra il 1971 e il 1977, davanti ai pm della procura di Palermo. Un racconto che riavvolge il nastro fino agli anni di piombo e che contiene particolari inediti, oggi al vaglio degli inquirenti, sul periodo trascorso da Mario Mori al Sid tra il 1972 e il 1975.

“Io ero a capo della segreteria raggruppamento centri di controspionaggio Roma: fui chiamato da Federico Marzollo, che nel 1972 portò anche Mario Mori al Sid”, ha raccontato Venturi ai pm Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo e Vittorio Teresi. I verbali degli interrogatori resi tra il febbraio e l’aprile del 2014 da Venturi sono stati depositati agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa Stato – mafia e saranno prodotti dalla procura generale anche nel processo d’appello sul mancato arresto di Provenzano (accusa dalla quale Mori è stato assolto in primo grado).

Nei mesi scorsi i pm palermitani si sono recati negli uffici dell’Aisi, passando in rassegna i fascicoli e i rapporti riferiti a Mori, scoprendo anche che il futuro generale, negli anni trascorsi al Sid, utilizzava un criptonimo, una falsa identità con tanto di patente di guida, intestata al dottor Giancarlo Amici. “Mori – racconta Venturi ai pm – venne mandato a lavorare nel mio ufficio ma rispondeva soltanto a Marzollo stesso: era il suo pupillo”. Marzollo era vicinissimo a Vito Miceli, a capo del Sid fino al 1974, tessera della P2 in tasca, poi coinvolto nell’inchiesta sul Golpe Borghese e sulla Rosa dei Venti, l’organizzazione segreta parallela all’intelligence ufficiale d’ispirazione neofascista. “Mori – sostiene Venturi – aveva un vizio per gli anonimi: si recava presso l’agenzia di Mino Pecorelli per scriverli”.

L’agenzia di Pecorelli è Op, il periodico Osservatore Politico, che all’epoca era nota come testata vicina ai servizi: secondo il racconto del maggiore, utilizzando le macchine da scrivere di Pecorelli, Mori era sicuro che i testi dei messaggi anonimi sarebbero stati letti come provenienti da ambienti vicini all’intelligence. Traccia di un possibile legame tra Mori e i giornalista poi assassinato nel 1979 si trova anche in un appunto prodotto nel 1982 dall’ex Presidente della Repubblica Giovanni Leone alla commissione Anselmi, che indagava sulla loggia P2. Il documento, datato 10 novembre 1975, passa in rassegna i rapporti tra Pecorelli e alcuni ufficiali dei carabinieri, utilizzati come canale preferenziale per ottenere il rilascio e il rinnovo del passaporto: tra questi è annotato anche il nome di Mario Mori, all’epoca in servizio al Raggruppamento Unità Speciali di Roma col grado di Capitano.

Nel racconto fornito ai pm palermitani, però, il maggiore Venturi tira in ballo anche altri personaggi noti, collegandoli al futuro generale del Ros. “Negli anni del Sid Mori aveva una fonte fiduciaria, Gianfranco Ghiron, che grazie allo studio di avvocato internazionalista che il fratello Giorgio aveva a New York, si era introdotto stabilmente nei servizi americani”. Negli archivi dei servizi italiani, i pm hanno trovato alcuni fascicoli intestati a Gianfranco Ghiron, talmente vicino all’intelligence italiana da avere a sua volta un nome in codice: il criptonimo Crocetta. “I rapporti di Mori – dice sempre il maggiore – non erano soltanto con Gianfranco ma anche con il fratello Giorgio”. L’avvocato Giorgio Ghiron diventerà in seguito l’amministratore dei beni di don Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo che nell’estate del 1992 riceve nella sua casa romana Mori e De Donno: per la procura è il primo atto formale della Trattativa.

Venturi mette però a verbale anche altro. “Mori – è la versione dell’ex 007 – cercava di convincermi ad iscrivermi alla P2, dicendo che non era una loggia come le altre del passato. Mi disse che in quel momento storico Licio Gelli era intenzionato come non mai ad affiliare personale del Sid. Mi propose di andare a trovare Gelli, dicendomi che io da toscano gli sarei stato simpatico. Visto che io ero titubante mi disse che gli appartenenti al Sid per garanzia sarebbero stati iscritti in liste riservate”. Agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa, i pm hanno prodotto anche un altro verbale, reso da Gianfranco Ghiron davanti la procura di Brescia nel 1975. Durante quell’interrogatorio Ghiron mostra agli inquirenti bresciani una lettera, datata 5 novembre 1974, firmata da un tale Piero, criptonimo di Amedeo Vecchiotti, estremista nero che in quegli anni era una fonte dei servizi. “La settimana prossima – si legge nell’appunto recuperato dai pm – Licio Gerli (probabile refuso per Gelli n.d.a.) scapperà all’estero tra la Francia e l’Argentina: la prego di avvisare il dott. Amici (ovvero il criptonimo Mori n.d.a.). Ciò perché se la partenza di Gerli danneggia Mister Vito (inteso Miceli n.d.a) lo fermino, oppure se è meglio che se ne vada lo lascino andare”.

La storia dell’appunto, con la triangolazione Amici – Gerli – Ghiron, era stata curiosamente pubblicata su un portale triestino già nel gennaio del 2013, e quindi ben prima delle dichiarazioni messe a verbale da Venturi. Dopo il deposito dei verbali dell’ex 007 i pm palermitani stanno adesso continuando a lavorare per trovare dei riscontri a possibili contatti tra Mori e Gelli. Negli anni ’90 il maestro Venerabile gioca infatti un ruolo sottilissimo a cavallo delle stragi: prima paventa a Vito Ciancimino la fondazione di un nuovo partito politico. Poi, per la prima volta, collabora con la magistratura associando il nome di Claudio Martelli al conto Protezione: il socialista è costretto a dimettersi da guardasigilli, e al suo posto arriva Giovanni Conso, l’autore del mancato rinnovo di oltre 300 decreti di 41 bis per detenuti mafiosi. Solo uno degli ultimi tasselli di una Trattativa che da lì a poco porterà ad un nuovo patto tra Cosa Nostra e lo Stato.

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