A Carlo Giovanardi, Franco Maccari e Alberto Balboni è stato notificato l’avviso ex 415 bis cpp. La procura di Ferrara ha concluso le indagini sui fatti avvenuti all’indomani del sit-in della discordia. Quello del Coisp, che il 27 marzo del 2013 scese in piazza a Ferrara per manifestare in favore degli agenti condannati per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. I fatti sono noti. La madre del ragazzo, che lavora in municipio, a pochi passi dal luogo della protesta, scese in strada mostrando ai poliziotti del sindacato al foto del figlio martoriato.
Ma quanto finito nel fascicolo del pm Stefano Longhi riguarda quanto avvenuto, o meglio detto, subito dopo. Nel corso del congresso regionale del Coisp il segretario nazionale Maccari affermò di fronte alla platea dei sindacalisti “in maniera consapevole e volontaria o comunque senza verificare la fondatezza delle proprie affermazioni” – scrive il pubblico ministero – che “quella foto non è stata ammessa in tribunale perché non veritiera”. Rincarò la dose Balboni, senatore ferrarese ex Pdl ora Fdi: “La foto non corrisponde alla verità, è stata usata dal Manifesto (in realtà era Liberazione, ndr) per una campagna di disinformazione ma è una falsificazione della realtà”.
Viene poi Giovanardi. Il politico del Ncd, in onda il 27 marzo successivo su “La Zanzara”, dichiara ai conduttori che “quella macchi rossa che è dietro è un cuscino, non è sangue quello là…”. Un’affermazione che secondo la procura lasciava intendere che la madre avesse distorto la realtà per “indurre artatamente nell’opinione pubblica un falso convincimento in ordine alle condizioni del cadavere del ragazzo”. Tutte frasi che secondo la magistratura estense integrano il reato di diffamazione aggravata. E la notizia della notifica arriva a pochi giorni dall’annuale manifestazione che si tiene a Ferrara per ricordare la morte del ragazzo avvenuta il 25 settembre 2005. “Anche questo è un modo per ricordare quello che è successo – commenta la Moretti – ed è significativo che arrivi quasi in concomitanza con l’anniversario”. La madre si prepara ora ad affrontare come parte civile (sue le querele contro i tre indagati) un altro possibile processo. “ma questo è un frammento della vicenda che non appartiene alla richiesta di giustizia e verità, già chiusa con la Cassazione, bensì all’ondata della negazione che ci ha investiti dopo le sentenza. Un riflusso di cattiveria e acredine che ci saremmo potuti risparmiare”.