Dopo la Commissione europea, anche la Corte di Giustizia conferma che il balzello applicato da Mastercard ogni volta che si utilizza una sua carta di pagamento non è legittimo. Ma ora il rischio è che le banche scarichino le minori entrate aumentando altri costi per i clienti
Comode, semplici, utili, fanno risparmiare tempo e servono a sconfiggere il nero, perché consentono la tracciabilità. Peccato che le “care” carte di credito siano anche assai costose, non solo per i normali costi di gestione da pagare alla banca (in media oltre i 35 euro annui, esclusa l’imposta di bollo di 2 euro per gli importi superiori a 77,47 euro e il costo dell’invio dell’estratto conto), ma soprattutto per il ruolo giocato dalle commissioni interbancarie applicate da Visa e Mastercard, cioè i circuiti di pagamento mondiale e che insieme rappresentano oltre il 95% delle transazioni effettuate con carta all’interno dell’Unione Europea.
Questo costo delle commissioni – che non esiste in tutti i Paesi europei e che viene applicato in diversi modi, come per le sole operazioni transfrontaliere o per altre determinate transazioni – normalmente viene imputato agli esercenti nell’ambito più generale delle spese a loro fatturate per l’utilizzo delle carte di credito. In altre parole, i principali circuiti lo impongono, la banca dell’esercente lo paga a quella dell’acquirente e, poi, nella pratica viene sempre scaricato sul cliente. Più che un esempio è, infatti, una consuetudine sentirsi richiedere dal negoziante, dal tassista o dal ristorare un pagamento extra (anche del 2% sul prezzo totale) nel caso si usino le preziose tesserine. E poco c’è da lamentarsi se il cliente chiede spiegazioni. Il commerciante, infatti, risponde che la commissione, che gli addebita la sua banca, non può certo sborsarla lui, visto che si tratta di un servizio extra.
Particolare di non poco conto, visto che la politica in modo martellante impone agli italiani di usare di più le carte di credito. Non ci si può, quindi, stupire della ritrosia degli italiani a utilizzare la moneta di plastica (ad oggi, secondo Bankitalia, l’87% dei pagamenti viene ancora effettuato in contanti, con l’Italia fanalino di coda in Europa per l’utilizzo delle preziose tesserine) e della paura delle truffe che contagia i possessori delle preziose tesserine (secondo il ministero dell’Economia nel 2013 i casi di frode sono stati oltre 366mila).
Un annoso problema che, dopo anni di battaglie legali tra circuiti di pagamento, istituti bancari e commercianti, ora è sbarcato anche sui tavoli della Corte di giustizia dell’Unione europea che, la scorsa settimana, una volta per tutte ha fatto chiarezza sul ruolo delle commissioni. Il Tribunale di Lussemburgo, respingendo il ricorso presentato da MasterCard, ha così definitivamente confermato la decisione della Commissione europea del dicembre 2007 dichiarando le commissioni interbancarie contrarie al diritto della concorrenza. In particolare, la Commissione già cinque anni fa aveva rilevato come il balzello “producesse l’effetto di fissare una soglia alle spese fatturate e costituisse per questo una restrizione alla concorrenza sui prezzi”. Ma ora i giudici di Lussemburgo hanno aggiunto un altro tassello a questa vittoria per i consumatori che per troppo tempo hanno pagato senza giustificazioni commissioni troppo alte: non solo questi balzelli distorcono il mercato, “ma non sono neanche necessari, perché il sistema dei circuiti di pagamento funziona in maniera soddisfacente anche senza”.
E se l’invito del commissario europeo alla Concorrenza, Joaquin Almunia, è stato chiaro (“MasterCard – ha commentato dopo la decisione della Corte di Giustizia – deve adeguarsi prontamente e attivamente”), altrettanto eloquente è la risposta del circuito. “La sentenza è deludente e ci saranno ripercussioni sui consumatori, perché le banche scaricheranno le minori entrate aumentando i costi per i clienti”. Tant’è che dall’Associazione bancaria italiana (Abi) già lo scorso anno avevano tenuto a far sapere che “se per Bruxelles le commissioni sono negative per la concorrenza”, il gotha delle banche del BelPaese “ritiene piuttosto che, senza di queste, il costo delle carte di pagamento rischia di aumentare a discapito dei possessori”. Del resto, ogni volta che un giudice ha sentenziato contro un balzello imposto dal sistema bancario, poco tempo dopo gli stessi istituti lo hanno reintrodotto con un altro nome. L’esempio più lampante è sicuramente l’anatocismo, cioè il calcolo degli interessi sugli interessi.
Intanto, per sfoltire la giungla delle commissioni interbancarie che – a detta di Bruxelles – costano ai rivenditori circa 10 miliardi di euro all’anno, lo scorso aprile l’Europarlamento ha inserito in una proposta di regolamento – al vaglio dei ministri europei – dei limiti alle commissioni: dello 0,2% sul valore della transazione per le carte di debito e dello 0,3% per quelle di credito.
Certamente un beneficio per i consumatori che, in attesa del Regolamento, devono continuare a fare attenzione al prezzo finale quando utilizzano la moneta di plastica. Basta provare ad acquistare online un biglietto aereo o per gli eventi sportivi e, molto probabilmente, si scoprirà che è stato applicato un costo aggiuntivo, solo perché il pagamento è avvenuto con una carta di credito. In questo caso, comunque, gli italiani sono già più tutelati: il Codice del consumo dello scorso giugno ribadisce che non possono essere applicate commissioni aggiuntive al prezzo di un bene o servizio solo perché si paga con un determinato strumento. E, qualora, si scoprisse che si è vittime di questa pratica scorretta, ci si può rivolgere all’Antitrust.