Proprio mentre un'altra gara vinta dall'azienda vicentina finisce nel mirino della Procura di Milano, i giudici amministrativi annullano la sentenza del Tar che dava ragione alle aziende seconde classificate che volevano subentrare nei lavori delle "architetture di servizio", al centro di una precedente inchiesta. Ma sulla società pubblica resta l'ombra di un mega-risarcimento
Proprio mentre arriva la notizia di una nuova inchiesta sugli appalti Expo2015 vinti da Maltauro spa, quelli sulle “Vie d’acqua“, una sentenza del Consiglio di Stato permette all’azienda vicentina di continuare i lavori sull’altro cantiere finito a maggio nel mirino dei magistrati, quello sulla realizzazione delle architetture di servizio, in sostanza la costruzione di bar, ristoranti e altri edifici da realizzare per l’Esposizione universale dell’anno prossimo. I giudici amministrativi hanno accolto in via cautelare il ricorso presentato da Expo 2015 spa, la società di gestione dell’evento milanese che si è opposta in tutti i modi alla rescissione del contratto con l’impresa di Enrico Maltauro, finito in carcere a maggio per corruzione e che ai giudici avrebbe fornito ampie ammissioni sulla “cupola degli appalti” per le opere dell’esposizione universale.
A giugno, dopo la prima inchiesta della Procura di Milano che aveva portato in carcere il costruttore Giuseppe Maltauro, il gruppo di imprese arrivato secondo nella gara, capitanato da Costruzioni Perregrini di Milano, aveva presentato un ricorso al Tar della Lombardia per chiedere di subentrare immediatamente nei lavori. Anche se le accuse erano (e sono) ancora tutte da provare in tribunale, argomentavano i legali Sergio Colombo ed Elvira Poscio, “le circostanze della dazione di denaro a fini di corruzione sarebbero altresì palesi da confessione resa dagli interessati, in particolare Enrico Maltauro e Angelo Paris”, manager di Expo finito anche lui in carcere. Secondo l’esposto, Maltauro ha anche violato il Protocollo di legalità messo a punto dalla stessa Expo 2015 spa – la società di gestione dell’evento presieduta da Diana Bracco – e dalla Prefettura di Milano, parte integrante del contratto d’appalto, che impone di informare subito le autorità competenti in caso di richieste di denaro e altre irregolarità, pena la perdita dell’appalto.
Il 12 luglio il Tar ha dato ragione alle imprese escluse, affermando di non avere il potere di revocare il contratto, ma sottolineando che la società Expo ha tutti gli strumenti per farlo in base al protocollo di legalità siglato in pompa magna nel 2012 proprio per prevenire il malaffare e le infiltrazioni mafiose. Ma è stata la stessa Expo 2015 spa a presentare ricorso contro la sentenza del Tar, e ora il Consiglio di Stato le ha dato ragione.
Secondo i giudici della IV sezione, “le pur gravissime ipotesi accusatorie formulate dalla Procura della Repubblica di Milano in relazione allo svolgimento della gara non comportavano automaticamente l’invalidità della procedura e dell’aggiudicazione, legittimando soltanto la facoltà di risoluzione del contratto d’appalto da parte dell’Ente committente”. Expo 2015 spa, insomma, poteva rescindere il contratto con Maltauro, ma non era obbligata a farlo. Inoltre, “sussisteva la situazione di pericolo paventata da Expo 2015” di fronte all’alternativa tra possibili perdite di tempo a pochi mesi dall’inizio della kermesse e il rischio di essere condannata “a un’ingentissima somma per risarcimento danni in favore dell’Impresa Perregrini, giunta seconda nella gara d’appalto”. Perregrini, infatti ha messo nero su bianco nel ricorso che in caso di mancata soddisfazioe avrebbe chiesto un risarcimento di 6 milioni di euro. Va detto che nel ricorso il gruppo di aziende secondo classificato garantiva di poter subentrare subito in tutti i cantieri, essendo già all’opera con uomini e mezzi nell’area di Rho-Fiera dove sorgerà il nuovo complesso espositivo.
Nel dare ragione a Expo2015, i giudici aministrativi tirano in ballo anche i maggiori poteri conferiti dal governo all’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. La facoltà di commissariare le aziende inquisite permette, secondo il Consiglio di Stato, di conciliare l’esigenza di portare avanti la realizzazione dell’opera pubblica e la necessità di estromettere dalla gestione dell’impresa i presunti responsabili di illeciti, almeno fino alla conclusione del procedimento penale. Paradossalmente, ragionano i giudici, proprio i “superpoteri” di Cantone salvano Maltauro (ed Expo 2015) dalla fine prematura del contr5atto viziato da presunte mazzette.