L'ex sottosegretario e ministro dei governi Berlusconi, condannato in via definitiva a due anni di reclusione per lo scandalo Antonveneta, in transatlantico nelle ore della trattativa Di-Lega su Bruno e Zanettin. Grazie al suo silenzio venne archiviata nell'indagine la posizione di Calderoli
E alla fine spunta anche Aldo Brancher. Mercoledì, tra l’undicesima e la dodicesima fumata nera per l’elezione dei due giudici costituzionali e di altrettanti membri laici del Csm, l’ex sottosegretario di tre governi Berlusconi, condannato in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti ai tempi di Tangentopoli e poi in via definitica a due anni nell’indagine sulla scalata di Gianpiero Fiorani a Banca Antonveneta, è stato avvistato sui divanetti del Transatlantico.
Come riporta il Messaggero l’apparizione dell’ex dirigente Fininvest che dopo lo strappo del 1994 fece riavvicinare Silvio Berlusconi e Umberto Bossi si presta a diverse letture. Un intervento da “pontiere” tra Forza Italia e Lega per favorire l’elezione alla Consulta del previtiano Donato Bruno? Del resto, da sempre Brancher è uomo di collegamento tra la Lega e Forza Italia, che in queste ore prova a far digerire al Carroccio il nome dell’uomo di Previti alla Corte costituzionale, offrendo in cambio quello di Pierantonio Zanettin a Palazzo dei Marescialli. Zanettin è l’uomo giusto al posto giusto: succeduto a Giancarlo Galan dopo che questi era diventato presidente della Regione Veneto, è considerato abbastanza vicino alla Lega da essere accettato. Ma la sua fedeltà berlusconiana non è in dubbio, come testimonia anche il matrimonio con la figlia dell’avvocato Coppi, che di Berlusconi è stato il salvatore nell’appello del caso Ruby. Oppure, si spinge a ipotizzare il Messaggero, il pregiudicato Brancher – il quale nel 2010 fu ministro per 17 giorni, giusto il tempo necessario per invocare il legittimo impedimento nel processo per il caso Antonveneta (poi il Parlamento lo sfiduciò) – scalda i motori per una candidatura, magari al Csm? “Non si sa mai, nell’impazzimento generale”, annota il quotidiano romano.
Di certo giova ricordare che stando agli interrogatori di Gianpiero Fiorani, ritenuti “attendibili” dalla Cassazione nella sentenza 40136 del 2011, l’ex sacerdote paolino che vendeva pubblicità per Famiglia Cristiana, una vita passata in Fininvest, nel febbraio-marzo 2005 chiese al banchiere 200mila euro da girare anche all’oggi vicepresidente del Senato Roberto Calderoli per le spese della campagna elettorale. La posizione del padre del Porcellum e relatore della riforma costituzionale targata Renzi-Berlusconi fu poi archiviata perché da Brancher non arrivò mai una conferma, per cui “l’esistenza dell’accordo di suddivisione derivava solo dalle dichiarazioni dell’onorevole Brancher riferite da Fiorani”. Fiorani disse che la busta con i 200mila euro la ritirò Brancher stesso nell’ufficio di Fiorani, mentre Calderoli lo aspettava in un’altra stanza.