E’ l’Europa di serie B, perché le big giocano altrove e con loro pure i miliardi di sponsor, diritti tv e premi partita. Ma guai a sottovalutarla: in palio ci sono punti pesanti per il ranking Uefa. E soprattutto la chance di guadagnarsi la promozione nell’elite del calcio continentale. Dopo la due giorni inaugurale di Champions League, parte oggi anche l’Europa League: al via anche Inter, Napoli, Fiorentina e Torino, con almeno le prime tre fra le favorite di un torneo che parla sempre più italiano. Come la stagione scorsa, quando la Juventus arrivò in semifinale eliminata dal Benfica, anche quest’anno le italiane sono tra le papabili per la vittoria finale, insieme ai campioni in carica del Siviglia, al Tottenham e al Psv Eindhoven (Villareal, Lille, Wolfsburg e Celtic in seconda fila).

Da quando l’Italia ha perso i quattro posti in Champions League (e fatica a qualificare anche la terza ai preliminari, come successo ad agosto col Napoli), le grandi della Serie A sono scivolate in Europa League (al contrario delle big di Inghilterra, Spagna e Germania), e questo ha aumentato le chance azzurre di vittoria. Sulla carta. Poi sul campo le cose sono andate spesso diversamente. La semifinale della Juventus resta il miglior risultato negli ultimi cinque anni, seguito dai quarti della Lazio nel 2012/2013. Colpa di un approccio sbagliato, tecnico e mentale: da Mazzarri ai tempi del Napoli in giù, gli allenatori delle nostre squadre hanno sempre snobbato l’appuntamento del giovedì, mandando in campo riserve e formazioni sperimentali e rimediando sonore figuracce anche contro compagini inferiori. La speranza è che Inter e Napoli, Fiorentina e Torino possano invertire la tendenza.

Certo, il fattore economico non è un grande incentivo. Il giro d’affari dell’Europa League non è neanche lontanamente comparabile a quello miliardario della Champions League: 225 milioni di fatturato contro 1,3 miliardi, meno di 10 milioni alla squadra campione contro oltre 40 (senza contare i diritti tv). A grandi linee, si può dire che l’Europa League valga circa un quinto della Champions. Non a caso, la Uefa prevede anche una sorta di mutualità, una fetta di proventi che la competizione maggiore destina a quella minore (circa 40 milioni). E in generale i premi sono abbastanza miseri: 1,3 milioni ai 48 club iscritti alla fase a gironi (in Champions il solo “obolo” di partecipazione vale più di 8 milioni); poi 200mila euro a vittoria, 400mila euro alle vincitrici dei gruppi. Per vedere un bonus da un milione di euro bisogna arrivare almeno in semifinale, mentre il successo finale vale 5 milioni. Complessivamente, una squadra potrà guadagnare al massimo 9,9 milioni di euro nell’intera competizione. Spiccioli o poco più.

Il discorso cambia, però, se lo si affronta dal punto di vista sportivo. L’Europa League ha ancora grande fascino e sa regalare emozioni, come dimostrato dall’ultima vittoria del Siviglia. E la coppa distribuisce punti importantissimi per il ranking Uefa: il tracollo dell’Italia nella classifica continentale si spiega soprattutto con gli scarsi risultati in questo torneo, più che in Champions (è qui che la Germania è riuscita a scavare il gap). Tornare a fare il proprio dovere il giovedì sera sarebbe la maniera migliore per risalire la china, con l’obiettivo – se non di tornare ad avere quattro squadre in Champions – almeno di puntare a sorteggi migliori. In realtà, il sogno dell’Italia di riconquistare la quarta piazza nell’elite del calcio non è possibile. E passa proprio dall’Europa League: da quest’anno, infatti, la vincente sarà ammessa direttamente alla fase a gironi della prossima Champions League (nel caso non abbia già ottenuto la qualificazione nel proprio campionato). Ecco allora che alzare la coppa il prossimo 27 maggio allo stadio Narodowy di Varsavia assume all’improvviso tutt’altro valore. Per farlo, prima bisogna affrontare quindici partite, tra gironi ed eliminazione diretta. Un cammino lungo, per certi versi ancor più logorante di quello della Champions. Ma per le italiane è forse l’unica via per tornare grandi.

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