In un tribunale di provincia osservo due quadretti.
I personaggi del quadro sono, come accade in tutti gli uffici giudiziari periferici e centrali, Falcone e Borsellino. Due eroi, non c’è dubbio. A cui si potrebbero aggiungere Chinnici, Coco o i meno noti Scaglione e Calvosa. Tutti magistrati (e numerosi altri) che hanno pagato con la vita l’appartenenza ad una istituzione quale la magistratura.
Assodato questo possiamo dire che i 9000 magistrati sono tutti come Falcone e Borsellino? Penso di no, ma è ciò su cui mi interrogo ogni qual volta mi reco in un tribunale o passo davanti a quello di Milano dove campeggia la gigantografia dei due valorosi magistrati siciliani. Eppure se entri in una redazione di giornali non trovi appese le facce di Tobagi o di Pippo Fava. Men che meno negli studi degli avvocati si trova l’effige di Ambrosoli o Croce. Si potrebbe continuare con svariate categorie perché poche istituzioni sono state risparmiate dalla furia omicida di mafia o terrorismo. Anche la classe politica e gli ambienti accademici hanno pagato un pesante tributo. I giornalisti o gli avvocati sanno bene che un Casalegno o un Ambrosoli non è rappresentativo di una categoria che annovera anche Farina o Previti.
E finisco sempre con l’interrogarmi sull’uso fortemente simbolico di questa effige. Volutamente simbolico perché parte di un immaginario collettivo che, più che in altri settori per la posta e gli attori in scena, riesce a scindere la realtà in bene e in male.
Penso però che la giustizia di tutti i giorni non corrisponda a questo immaginario. Sarà per questo che reputo legittimo ma strumentale l’utilizzo che si fa dei bei volti di Falcone e Borsellino. Un utilizzo che va ben oltre la doverosa memoria di uomini che si sono immolati in nome dello Stato e che, per altro, rivendicavano la propria indipendenza intellettuale con atteggiamenti considerati eretici dagli stessi vertici giudiziari del tempo.
Dietro il paravento di quei nomi accade di tutto, e questo tutto non è solo positivo. Le fotografie diventano testimonianza attiva e reale di un impegno quotidiano che si vorrebbe assai simile a quello dei magistrati uccisi ma che, sappiamo, talvolta è molto lontano. Se esiste un uso politico ed ideologico della giustizia, a mio parere, è proprio nel mostrare quei volti. Nel volere identificare un potere dello Stato come ‘bene’ superiore ad altre istituzioni in nome e per conto di quei colleghi coraggiosi. Una forza morale che aprioristicamente è tale indipendentemente dagli uomini e dalle donne che la incarnano.
Ed è chiaro che con una classe politica cialtrona ed opaca questo significato simbolico appare ancora più pregnante. Penso che un potere dello Stato non abbia bisogno di coltivare un santo laico per affermare, giorno dopo giorno, la bontà delle proprie azioni.
Se ho bisogno di un santo per affermare la mia esistenza dimostro tutta la mia fragilità.
Achille Saletti
Criminologo, dirigente Impresa Sociale Anteo
Giustizia & Impunità - 18 Settembre 2014
Falcone, Borsellino e la giustizia fragile
I personaggi del quadro sono, come accade in tutti gli uffici giudiziari periferici e centrali, Falcone e Borsellino. Due eroi, non c’è dubbio. A cui si potrebbero aggiungere Chinnici, Coco o i meno noti Scaglione e Calvosa. Tutti magistrati (e numerosi altri) che hanno pagato con la vita l’appartenenza ad una istituzione quale la magistratura.
Assodato questo possiamo dire che i 9000 magistrati sono tutti come Falcone e Borsellino? Penso di no, ma è ciò su cui mi interrogo ogni qual volta mi reco in un tribunale o passo davanti a quello di Milano dove campeggia la gigantografia dei due valorosi magistrati siciliani. Eppure se entri in una redazione di giornali non trovi appese le facce di Tobagi o di Pippo Fava. Men che meno negli studi degli avvocati si trova l’effige di Ambrosoli o Croce. Si potrebbe continuare con svariate categorie perché poche istituzioni sono state risparmiate dalla furia omicida di mafia o terrorismo. Anche la classe politica e gli ambienti accademici hanno pagato un pesante tributo. I giornalisti o gli avvocati sanno bene che un Casalegno o un Ambrosoli non è rappresentativo di una categoria che annovera anche Farina o Previti.
E finisco sempre con l’interrogarmi sull’uso fortemente simbolico di questa effige. Volutamente simbolico perché parte di un immaginario collettivo che, più che in altri settori per la posta e gli attori in scena, riesce a scindere la realtà in bene e in male.
Penso però che la giustizia di tutti i giorni non corrisponda a questo immaginario. Sarà per questo che reputo legittimo ma strumentale l’utilizzo che si fa dei bei volti di Falcone e Borsellino. Un utilizzo che va ben oltre la doverosa memoria di uomini che si sono immolati in nome dello Stato e che, per altro, rivendicavano la propria indipendenza intellettuale con atteggiamenti considerati eretici dagli stessi vertici giudiziari del tempo.
Dietro il paravento di quei nomi accade di tutto, e questo tutto non è solo positivo. Le fotografie diventano testimonianza attiva e reale di un impegno quotidiano che si vorrebbe assai simile a quello dei magistrati uccisi ma che, sappiamo, talvolta è molto lontano. Se esiste un uso politico ed ideologico della giustizia, a mio parere, è proprio nel mostrare quei volti. Nel volere identificare un potere dello Stato come ‘bene’ superiore ad altre istituzioni in nome e per conto di quei colleghi coraggiosi. Una forza morale che aprioristicamente è tale indipendentemente dagli uomini e dalle donne che la incarnano.
Ed è chiaro che con una classe politica cialtrona ed opaca questo significato simbolico appare ancora più pregnante. Penso che un potere dello Stato non abbia bisogno di coltivare un santo laico per affermare, giorno dopo giorno, la bontà delle proprie azioni.
Se ho bisogno di un santo per affermare la mia esistenza dimostro tutta la mia fragilità.
LA REPUBBLICA DELLE STRAGI
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Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Prosegue la protesta di Azione alla Camera sul decreto Milleproroghe: il capogruppo Matteo Richetti e la vicecapogruppo Elena Bonetti lasciano i lavori in corso nelle commissioni congiunte Affari Costituzionali e Bilancio. “Dopo il tempo sprecato dal governo nella discussione al Senato alla ricerca di una composizione delle divisioni interne, il testo del decreto è stato trasferito alla Camera solo questa mattina e approderà in Aula nella giornata domani. Alle Commissioni riunite – dichiarano Richetti e Bonetti – non restano che poche ore di esame notturno, una scelta che rende inutile ogni confronto di merito sulle misure contenute nel provvedimento e offende profondamente la funzione parlamentare e la dignità dei deputati membri. Se il governo intende ridurci a figuranti, abbia almeno la decenza di assumersene la responsabilità davanti al Paese. Noi non li aiuteremo”. Azione aveva già espresso nella mattinata la propria contrarietà al ripetuto ricorso alla fiducia, rendendo noto di non aver presentato, per questa ragione, emendamenti al decreto Milleproroghe.
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Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Ha ribadito le perplessità sul formato del vertice di Parigi, sull'invio di truppe europee in Ucraina e la necessità di percorrere strade che prevedano il coinvolgimento degli Stati Uniti. Queste le linee, a quanto si apprende, dell'intervento della premier Giorgia Meloni oggi al summit a Parigi convocato da Emmanuel Macron alla presenza del britannico Keir Starmer, del premier olandese, Dick Schoof, del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del capo del governo polacco Donald Tusk e del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. All'Eliseo anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte e i vertici Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen.
Meloni, a quanto si apprende, ha sottolineato di aver voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia, ma di avere espresso le sue perplessità riguardo un formato che, a suo giudizio, esclude molti Paesi, a partire da quelle più esposti al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare in una fase storica come questa. Anche perché, avrebbe rimarcato la premier, la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti.
Per l'Italia le questioni centrali rimangono le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, perché senza queste ogni negoziato rischia di fallire. Quindi Meloni avrebbe rimarcato l'utilità di un confronto tra le varie ipotesi in campo, osservando come quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appaia come la più complessa e forse la meno efficace. Una strada su cui l'Italia avrebbe mostrato le sue perplessità al tavolo.
Secondo Meloni, a quanto viene riferito, andrebbero esplorate altre strade che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana. La premier avrebbe definito una sferzata sul ruolo dell'Europa quella lanciata dall'amministrazione Usa ma ricordando che prima di questa analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee. È una sfida, avrebbe quindi sottolineato, per essere più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a 360 gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo.
Secondo la presidente del Consiglio sono i cittadini europei a chiederlo: non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi.
Meloni avrebbe quindi rimarcato come il formato del summit all'Eliseo non vada considerato come un formato anti-Trump. Tutt’altro. Gli Stati Uniti lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte, la sollecitazione della premier italiana. Meloni infine, sempre a quanto si apprende, avrebbe manifestato condivisione per il senso della parole del Vice Presidente degli Stati Uniti Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.
Parigi, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - "La Russia minaccia tutta l'Europa". Lo ha detto la premier danese Mette Frederiksen dopo i colloqui di emergenza a Parigi sul cambiamento di politica degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina riguarda i "sogni imperialisti di Mosca, di costruire una Russia più forte e più grande, e non credo che si fermeranno in Ucraina", ha detto ai giornalisti, mettendo in guardia gli Stati Uniti dai tentativi di concordare un cessate il fuoco "rapido" che darebbe alla Russia la possibilità di "mobilitarsi di nuovo, attaccare l'Ucraina o un altro paese in Europa".
Parigi, 17 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Parigi abbiamo ribadito che l'Ucraina merita la pace attraverso la forza. Una pace rispettosa della sua indipendenza, sovranità, integrità territoriale, con forti garanzie di sicurezza. L'Europa si fa carico della sua intera quota di assistenza militare all'Ucraina. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un rafforzamento della difesa in Europa". Lo ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.