Le ultime dichiarazioni di Barack Obama sull’impegno di oltre quaranta Paesi per contrastare la minaccia terroristica dell‘Is(is) sono sembrate più un’opera di auto-convincimento, e dunque l’ennesimo segno di debolezza di fronte a un’organizzazione che finora ha dimostrato di saper vendere il suo brand meglio di quanto non facesse Al Qaeda ai tempi di Osama bin Laden.
Le decapitazioni e l’ultimo filmato hollywoodiano diffuso dallo Stato islamico, dal titolo “Flames of War” (Fiamme di Guerra”), sono chiari elementi di una propaganda mediatica tesa a massimizzare lo choc. Il Califfato autoproclamato da Al Baghdadi in Iraq ha un valore prima di tutto simbolico: contribuire ad aumentare le reclute e garantire la logistica del movimento in tutta l’area dove si estende il regno.
L’Is(is) ha compreso che l’educazione è un fattore cruciale nell’assemblaggio del consenso, soprattutto in una dimensione in cui gli Stati Uniti non riescono più a coagulare il sostegno dei loro alleati arabi. Sono decenni che Riyad cede mazzette ai signori della guerra in cambio di un’equa distanza, ma in questa sua perversa e letale forma compromissoria la dinastia di Abd Allāh è comunque riuscita a mantenere un certo “decoro”.
Obama si è invece crogiolato nella sua insensatezza, commettendo una gaffe dopo l’altra. E’ persino riuscito a farsi fotografare sorridente durante una partita di golf proprio qualche giorno dopo i funerali di James Foley (il primo tra i giornalisti giustiziati). Più di qualche giornale americano, con un velato e sicuramente inappropriato cinismo, ha pubblicato lo scatto incorniciandolo con quello della famiglia Foley vestita a lutto nel giorno delle esequie.
Tra l’altro vi invito a leggere il testo integrale del messaggio di cordoglio di Obama diffuso dopo l’uccisione del reporter. Non è molto lungo, ma assai delirante quando scrive che “l’Is(is) fallirà perché il futuro sarà vinto da chi costruisce e non da chi distrugge”. Uno slogan da ultimo della classe, che qualche preoccupazione la solleva.
Contrariamente alla mole di annunci scanditi, c’è infatti da chiedersi se Obama ha davvero compreso il livello di serietà che circonda la minaccia dell’Is(is). Il movimento oggi è molto più di una formazione terroristica. Ha iniziato a riempire le sue casse commerciando olio e grano, rapina banche, vende manufatti rubati e continua a reclutare guerriglieri provenienti da altre milizie satelliti, ma che ora vogliono tentare il grande salto nell’universo del terrore. Per molti di loro è una scalata al successo.
Non è un caso che la recrudescenza delle violenze si sia intensificata nello stesso periodo, in una regione già fortemente contaminata da schegge impazzite pronte a coalizzarsi contro la causa occidentale. Basti pensare a Boko Haram in Nigeria e ad Al Shabaab in Somalia e Camerun.
E’ vero però che l’Is(is) era uscito allo scoperto già quattro anni fa, quando diffuse un importante opuscolo dove veniva tracciato un piano dettagliato per la conquista di Mosul. Il titolo era quasi accademico: Khoutah Istratigya l i Ta’aziz al-Moqif al-Siyasi al-Dawlat al-Islamyiah fi al-Iraq (“Un piano strategico per migliorare la posizione politica dello Stato Islamico dell’Iraq”) e il contenuto presentava cinque punti: “unificazione”, “piano militare” (suddiviso ulteriormente in altre sottocategorie in cui venivano individuati gli obiettivi da colpire), “formazione” (di gruppi e ronde locali per mantenere la sicurezza interna, sul modello dei Consigli del Risveglio), “simbolismo politico” (quindi la creazione di una figura di leadership) e “garanzie” (verso i musulmani, protetti dai movimenti jihadisti “se non commetteranno peccato”).
Quindi Obama ha fatto cilecca un’altra volta, dimostrando di non aver mai avuto una visione strategica per contenere il fenomeno. Ma che importa: esistono i raid. Oggi a un passo da Baghdad.