Politica

Renzi-Berlusconi, un avvitamento perverso

Che la forma sia assolutamente sostanza lo ha già detto qualcuno di un certo pregio. Limitandone la sfera alla politica, si potrebbe concludere, con ben poca approssimazione, che questo ultimo mezzo secolo (e in particolare gli ultimi vent’anni) ha formalizzato un degrado, declinandolo negli osceni comportamenti. Se vogliamo, la summa più dolorosa e variamente interpretabile di questo discorso è la liaison politica tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, che sì ha avuto il suo momento più “alto” nel primissimo incontro del Nazareno, ma che poi periodicamente produce i suoi bei tagliandi da mettere a punto nell’officina di Palazzo Chigi (l’ultimo al cospetto anche di Verdini, hai detto niente).

Fermandoci all’estetica dei rapporti, e solo all’estetica, certamente quel primo incontro-patto del Nazareno aveva una sua oscenità, deviazione sentimentale che non ha nulla di moralistico ma che risponde soltanto a criteri tecnici: l’incontro con un pregiudicato, un politico condannato in via definitiva per frode fiscale, non è consigliabile a nessuno tra gli umani, immaginiamoci a Renzi, presidente del Consiglio di un Paese che vuole ritrovare una certa qual pulizia. Si è detto che quell’incontro era esattamente concepito per ritrovare un Paese smarrito, si è formalizzato che fosse un prezzo da pagare in nome, appunto, delle riforme, si è superata abbondantemente la barriera del “decoro” nel nome di qualcosa di più alto, di finalmente definitivo e positivo.

Ognuno di noi ha vissuto quell’incontro del Nazareno con una sua personalissima sofferenza. C’è chi ha sofferto molto e al termine di un percorso di riflessione lo ha considerato un passo non avventato e persino giusto, se davvero prodromico di tutto il buono che sarebbe giunto dopo. Altri non hanno sentito ragione (e con molte ragioni), pensando semplicemente che una sinistra decente e finalmente nuova non doveva fare affari con un uomo di quel tipo, e che semmai le riforme si dovevano “guadagnare” con il sudore delle proprie forze. Con tutti i turbamenti del caso, sono stato uno del primo tipo, credendo che la questione si sarebbe risolta, in termini di immagine da “vendere all’esterno”, con quell’unico incontro storico del Nazareno.

Invece vedersi con l’amico Fritz è diventato consuetudine. E badate bene, non ve n’è stretta necessità, tracciate le linee guida, le questioni possono essere trattate da uomini fidati di Berlusconi che in suo nome vanno agli incontri con Renzi. E se ci sono strettorie, momenti di incomprensione, difficoltà interpretative, ci sono sempre i telefoni per raccordarsi.

Perché la forma è sostanza, è terribilmente sostanza, e questo continuo incontrarsi con Berlusconi, e nella casa di tutti com’è Palazzo Chigi, personalmente mi fa schifo. Lo dico serenamente, ma in maniera altrettanto convinto. Perché c’è uno stile da salvaguardare, c’è un rispetto (nei confronti degli italiani) da conservare, perché la disinvoltura dell’uno e dell’altro sembra nascondere qualcosa di diverso dalla semplice volontà comune di contribuire alla crescita del Paese.

Come se uno si appoggiasse all’altro in maniera persino cinica, in un avvitamento pericoloso, in una fascinazione perversa, in una relazione pericolosa che nessuno dei due sa smettere perché non è più in grado, perché è più forte l’attrazione per l’altro che il ravvedimento possibile rispetto a un atto che non ha più nulla di veramente dignitoso.