Con la difesa di Claudio Descalzi, Matteo Renzi ha definitivamente gettato la maschera. Il premier si era presentato come un rottamatore, ma ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di innovare la politica e l’economia italiane. Non a caso, l’applauso più fragoroso alla difesa di Descalzi contro i pm e i giornali è arrivato da Daniela Santanchè, raccomandata da Luigi Bisignani perché l’Eni concedesse alla sua società, la Visibilia, un contratto pubblicitario.
Erano gli anni del berlusconismo al massimo del potere. Gli stessi anni dell’affare nigeriano che ha portato la Procura di Milano a indagare l’Eni, Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni per corruzione internazionale. Allora Gianni Letta dominava sulle partecipazioni statali, Bisignani era il suo fidato consigliere e Scaroni era un grande amico di Bisignani e si raccomandava a lui prima di andare ad Arcore a parlare del gas di Putin con l’allora premier. Bisignani contava molto e Descalzi era un manager in ascesa con pochi agganci in politica. Il suo comportamento nell’affare nigeriano, illustrato dalle telefonate pubblicate in questi giorni sul nostro giornale, era gradito a Scaroni e Bisignani. Quello che è davvero incomprensibile è che sia gradito a un premier del Pd che si professa alternativo a quel sistema di potere.
Alla fine del 2009, Bisignani segnala a Scaroni l’affare nigeriano del blocco Opl 245 che Eni aveva disdegnato fino ad allora. Quando Scaroni gli gira la pratica, Descalzi come un soldato si mette a disposizione. Il manager è indagato per corruzione internazionale, ma non è questa la ragione per la quale Renzi non avrebbe dovuto difenderlo. Non c’è bisogno di una sentenza per capire che Descalzi con le sue telefonate a Bisignani nel 2010 si è messo a disposizione della cordata di alcuni privati (il nigeriano Obi e il duo Gianluca Di-nardo e Bisignani stesso) aiutando a più riprese i ‘mediatori’ che gli erano stati raccomandati da Scaroni, a fare l’affare della vita. Il fatto che Bisignani non ci sia riuscito o che Dinardo non ci sia riuscito subito non cambia le carte in tavola. Il punto è che Descalzi li ha aiutati e dovrebbe spiegare perché lo ha fatto. Perché Descalzi ha tenuto aggiornato Bisignani sullo stato delle trattative se non era un mediatore incaricato da Eni? Perché gli ha garantito che non avrebbe trattato direttamente con il venditore scavalcando il mediatore Obi, che era stato ingaggiato formalmente non da Eni ma da Malabu?
Alla fine della storia i dati sono questi: Eni ha speso nel 2011 un miliardo e 192 milioni di dollari per comprare una concessione (formalmente transitata dal governo nigeriano) che apparteneva a un ex ministro nigeriano, Dan Etete, poco raccomandabile. Un tipo condannato per riciclaggio in Francia che aveva assegnato alla sua società per un paio di milioni di dollari nel 1998 una concessione poi venduta a un prezzo 500 volte maggiore all’Eni. Nessuno voleva trattare con un soggetto simile perché temeva i rischi legali dell’operazione. Infatti ora il Parlamento nigeriano ha proposto al governo di annullare la concessione pagata un miliardo e 92 milioni da Eni. Dopo l’intervento di Bisignani su Scaroni, improvvisamente l’Eni mette da parte i dubbi e scopre di essere interessata a trattare con Etete. Descalzi sa che Scaroni è amico di Bisignani e probabilmente immagina che se l’affare nigeriano andasse in porto l’amico del suo capo potrebbe guadagnare un po’ di milioni. Inoltre dai giornali sa bene che Bisignani è molto potente ed è in ottimi rapporti con Gianni Letta e Silvio Berlusconi.
Il punto centrale di questa storia, dal punto di vista di Matteo Renzi, non è accertare se Descalzi abbia commesso un reato. Quello è compito dei magistrati. Il presidente del Consiglio prima di difendere Descalzi dovrebbe accertare se l’ex numero due di Eni, da lui promosso a numero uno, abbia fatto l’interesse dell’Eni in una delle acquisizioni più costose e rischiose degli ultimi anni. Descalzi asseconda Bisignani nelle telefonate e lo tiene aggiornato sulle trattative. Gli garantisce che i suoi amici mediatori non saranno scavalcati: “È impossibile”. A noi sembra invece “impossibile” che un segretario del Pd difenda un manager tanto disponibile con Bisignani. Gli investigatori nel trascrivere le telefonate lo avevano scambiato per Scaroni fino a quando questi non ha detto ai pm: “Guardate che quello che parla con Bisignani è Descalzi”. Sarebbe ora che qualcuno lo spiegasse anche a Renzi.
Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2014