Il presidente del Consiglio alla Camera aveva detto: "Non permettiamo a un avviso di garanzia citofonato ai giornali di cambiare la politica industriale". E nel centrodestra qualcuno pensa alla "tempistica sospetta", mentre tutti parlano di "intervento a orologeria". Intanto il leader del Pd "silenzia" i suoi
Pochi giorni fa le parole di Matteo Renzi risuonate alla Camera erano riferite alla notizia dell’inchiesta sull’amministratore delegato dell’Eni Descalzi. Aveva detto: “Noi non permettiamo a un avviso di garanzia citofonato sui giornali o a uno scoop di cambiare la politica industriale nazionale”. Un passaggio che per qualcuno assume un valore doppio ora che è uscita la notizia dell’indagine a carico di Tiziano Renzi, il padre del capo del governo. Tanto che il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri scrive: “1 Il garantismo vale per il padre di Renzi come per tutti 2 Non è che Renzi ha usato certi toni per questo problema? 3 Tempistica sospetta”.
E fa un certo effetto che a far sentire la propria voce, adombrando la consueta tesi della “giustizia a orologeria“, è solo la destra, mentre dal Pd il silenzio è perfetto. “Indagato il padre del presidente Renzi: e poi dicono che in Italia gli orologi non funzionano” twitta Fabrizio Cicchitto, Nuovo Centrodestra. “Le eventuali colpe di Renzi padre non ricadano sul figlio. Ma anche viceversa” scrive, sempre su Twitter, Ignazio La Russa, deputato di Fratelli d’Italia.
1 Il garantismo vale per il padre di Renzi come per tutti 2 Non è che Renzi ha usato certi toni per questo problema? 3 Tempistica sospetta
— Maurizio Gasparri (@gasparripdl) 18 Settembre 2014
Nessun segnale dalle parti del Pd. Tra i renziani, scrive l’Ansa, è strisciante il sospetto che l’indagine su Tiziano Renzi sia l’effetto del duro braccio di ferro apertosi tra il presidente del consiglio e la magistratura sulla riforma della giustizia. Ma il premier silenzia i suoi, racconta in un retroscena l’agenzia,: non c’è nessun complotto, nessuna giustizia ad orologeria, è la linea di Renzi ai suoi, la giustizia farà il suo corso e in ogni caso c’è la massima serenità che l’inchiesta si risolverà in un nulla di fatto. E’ dal giorno dell’inchiesta a carico dei principali candidati alle primarie del Pd, Matteo Richetti e Stefano Bonaccini, che tra i fedelissimi del premier gira forte l’impressione che ci sia qualcuno che voglia dar fastidio al Pd e soprattutto al premier. Dopo qualche giorni di silenzio, con un partito disorientato e nel caos, Renzi si è schierato con i suoi, confermando le primarie e avvertendo che “sono i cittadini e non i magistrati a scegliere i candidati”.
E martedì scorso in Parlamento, in un’aperta difesa di Eni contro “gli avvisi di garanzia citofonati ai giornali”, il premier ha certificato una svolta garantista, nuova tra le fila dei democratici. Per questo la notizia sull’inchiesta che coinvolge il padre di Renzi è suonato oggi tra i renziani come l’ennesimo campanello d’allarme. Ma il presidente del consiglio non la pensa così: il lavoro dei magistrati va sempre rispettato. Così come, è l’altra faccia della medaglia, che però il premier non ripete per non alimentare polemiche, la magistratura deve rispettare il diritto della politica di fare delle scelte politiche. E la riforma della giustizia è tra le priorità del governo perchè da troppo tempo in Italia non si son potuti affrontare i nodi che creano problemi ai cittadini normali e alle imprese che vogliono investire nel nostro paese. Oggi il premier aveva, spiegano dal suo entourage, altri motivi per irritarsi. L’attacco frontale della minoranza Pd sul jobs act non è certo piaciuto anche perché solo due giorni fa il leader Pd aveva annunciato una direzione ad hoc il 29 settembre per discutere tutti insieme sulla riforma del lavoro. Ed avviare un confronto che, anche nelle intenzioni di Renzi, miri all’unità. Anche se a tutti è chiaro il messaggio arrivato dal premier: parliamo e confrontiamoci ma alla fine bisogna decidere perchè “a differenza del passato non siamo qui per fare convegni sul lavoro”. E il primo via libera della commissione al disegno di legge delega, con il sì di tutto il Pd, è per il premier la dimostrazione che il governo riuscirà entro l’anno a portare a casa la riforma.