Francesco Caselli, docente di Economia alla London School of Economics: "Il greggio nel Mar del Nord prima o poi si esaurirà, è folle basare su quei giacimenti una decisione di questa portata storica". Secondo l'economista l'indipendenza darebbe vita ad una "situazione di incertezza che creerà un forte effetto recessivo". Inoltre un'unione monetaria tra Londra ed Edimburgo ricreerebbe i presupposti che hanno portato al commissariamento di Atene
Francesco Caselli, docente di Economia alla London School of Economics, la Scozia può farcela da sola?
“Andrà incontro a difficoltà economiche di diversa natura, alcune molto gravi. In primo luogo dovrà affrontare il problema della valuta, che è di difficilissima soluzione. Il disavanzo fiscale, poi, avrà come diretta conseguenza la necessità per il governo di adottare politiche fiscali restrittive, il che avrà ripercussioni negative sulla domanda interna. Bisogna inoltre considerare che con l’indipendenza la Scozia diventerebbe un paese piccolo, decentrato con grosse difficoltà ad inserirsi sui mercati internazionali”.
La prima difficoltà sarà trovare un accordo con Londra sulla moneta: Edimburgo vorrebbe tenere la sterlina, ma Bank of England non vuole saperne.
“Il governo scozzese potrà decidere di tenere unilateralmente la sterlina, ma in questo caso dovrà creare una riserva di pound ingente per evitare la fuoriuscita di valuta dal paese. Per fare questo serviranno avanzi commerciali o di bilancio molto forti, di qui la possibilità di tagli alla spesa pubblica e di un aumento del carico fiscale. Una seconda strada potrebbe essere quella di tentare di convincere l’Unione Europea ad accogliere velocemente la Scozia, e non è detto che ciò accada, e adottare l’euro. Ma questo sottoporrebbe il paese, piccolo e decentrato, alle problematiche cui sono sottoposti i paesi che l’euro ce l’hanno già. La terza possibilità sarebbe quella di coniare una nuova moneta, un’impresa durissima: bisognerebbe creare in pochissimo tempo ed ex novo una banca centrale che dovrà gestire una valuta che ancora non esiste, con tutto ciò che un’impresa del genere comporta a livello economico e organizzativo”.
Per quale motivo si è arrivati al giorno del referendum senza che nessuno abbia spiegato agli scozzesi come verranno risolti in caso di indipendenza problemi fondamentali come il debito, la valuta e i rapporti con l’Ue?
“Forse Salmond, come molti politici di successo, ha una concezione eccessivamente ottimistica della propria capacità di risolvere i problemi: un mix di narcisismo e sentimento di onnipotenza, che è proprio di molti capi di Stato. Oppure più semplicemente, e più machiavellicamente, sia Salmond che Cameron hanno sbagliato i loro calcoli. Il premier scozzese ha da sempre usato la minaccia dell’indipendenza per ottenere negli anni sempre maggiori concessioni da Londra. Il premier britannico, da parte sua, ha sottovalutato le possibilità di successo del sì, ha addirittura indetto il referendum per togliere capacità negoziale all’avversario, convinto che gli unionisti non avrebbero avuto problemi. Entrambi hanno sbagliato i loro calcoli e ora gli scozzesi non sanno nemmeno che moneta avrebbero in caso di indipendenza”.
Gli indipendentisti hanno una sola certezza: il petrolio. Dicono che quando verranno tracciati i confini di pertinenza dei giacimenti petroliferi del Mar del Nord alla Scozia dovrebbe andare il 91% dei proventi.
“E’ vero, potranno contare per qualche anno su una più alta rendita da petrolio. Ma basare una decisione dalla portata storica così ampia su flussi petroliferi che inevitabilmente prima o poi andranno esaurendosi è una follia. In primo luogo perché i giacimenti sono molto vecchi, destinati a garantire un rendimento sempre minore. Secondo, perché il prezzo del greggio è destinato a diminuire, anche a causa dell’inevitabile sviluppo delle nuove fonti di energia alternativa. Se è questo il loro principale argomento, è molto miope”.
Gli indipendentisti sostengono già ora che la produzione pro capite degli scozzesi è di poco inferiore a quella degli inglesi e che se potessero contare sul loro petrolio aumenterebbe del 10-15%.
“Pur assumendo che il 90% delle rendite derivanti dal petrolio vadano alla Scozia, ed è tutto da vedere, per sfruttare appieno le potenzialità dei pozzi Edimburgo dovrebbe comunque investire ingenti risorse sulla tecnologia estrattiva e per farlo dovrebbe cominciare ad indebitarsi o aumentare le tasse, il che avrebbe un effetto recessivo sull’economia. A questo va sommato l’effetto recessivo che verrà causato dall’incertezza. Le incognite sono molteplici: che Paese sarà? Farà parte o no dell’Ue? Quale sarà il ruolo dello Stato nell’economia? Quale tipo di mercato del lavoro ha intenzione di creare il governo di Edimburgo? Cosa farà per ritagliarsi un ruolo di rilievo nel commercio estero? A causa di tutte queste incognite, qualunque investitore straniero ci penserà almeno due volte prima di investire in Scozia. Tutto ciò mi porta a dire che, se vincerà il sì, il Paese andrà incontro ad un periodo di recessione”.
Ci saranno conseguenze anche sui mercati?
“Il solo fatto che, in caso di vittoria del sì, gli scozzesi tenteranno di riaprire il discorso sull’unione monetaria probabilmente susciterà fibrillazioni sulle piazze internazionali, il cui timore è il ripetersi delle turbolenze che affliggono i Paesi dell’euro. E’ ipotizzabile anche un’ulteriore caduta della sterlina. Anche nel caso in cui si arrivi ad una unione monetaria con Londra, a preoccupare sarà la partnership tra due entità economiche così disomogenee, in cui il partner più debole sarà tentato da politiche economiche non sempre sostenibili nella speranza di un riallineamento dei conti da parte del partner più forte. Anche la Grecia ha accumulato debito nella convinzione che la Germania se ne facesse carico. Questo, come abbiamo visto, può accadere come non accadere”.
Nessuno, neanche tra gli osservatori internazionali, aveva previsto che gli indipendentisti potessero arrivare quasi al 50%. E ora, dal Fondo Monetario Internazionale ai giganti bancari, la corsa è a mettere in guardia Edimburgo dalle conseguenze.
“Fino a una settimana fa tutti davano per scontata la sconfitta del sì, il comune sentire era il seguente: ‘non possiamo pensare che gli scozzesi farebbero una pazzia simile’. Poi è arrivato il sondaggio che dava gli indipendentisti in vantaggio ed è scattata la corsa a mettere in guardia Edimburgo. Ma, seppur tardive, le raccomandazioni sono giuste”.
Metà degli scozzesi è favorevole all’indipendenza perché nessuno ha spiegato loro tutto ciò?
“Anche per l’indiscutibile carisma di Salmond e per un elemento emotivo molto forte che la chiamata alle urne comporta. Ma la vittoria del sì non si spiegherebbe soltanto con il forte sentimento patriottico degli scozzesi: uno dei grandi successi ottenuti dal Regno Unito è l’aver tenuto insieme tante culture diverse, che sono riuscite a vivere pacificamente insieme mantenendo intatte le loro peculiarità. No, la motivazione sarebbe un’altra, ovvero l’eccessiva fiducia nell’effetto positivo che potrebbe avere lo sfruttamento dei pozzi di petrolio nel Mar del Nord”.
La Scozia sarà indipendente?
“No, voglio credere che alla fine vincerà la razionalità”.