Ad Agorà, su RaiTre, la vicesegretaria democratica ha risposto così a una domanda di Marco Lillo circa l'inchiesta che coinvolge il candidato alla Corte Costituzionale
Un indagato alla Corte Costituzionale? Per il Partito democratico si può. “Perché un avviso di garanzia non è una condanna”. Parola di Deborah Serracchiani, vicesegretario dem, che ad Agorà, sui RaiTre, ha risposto così ad una domanda di Marco Lillo de Il Fatto Quotidiano circa la vicenda giudiziaria che ha coinvolto Donato Bruno (Forza Italia), ancora in corsa – nonostante le tredici fumate nere – per una poltrona alla Consulta insieme a Luciano Violante (Pd). Il senatore azzurro, come si legge nell’edizione odierna de Il Fatto in un articolo a firma di Antonio Massari, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Isernia con l’accusa di “interesse privato del curatore negli atti del fallimento“.
“Il candidato del Partito democratico si chiama Luciano Violante – ha detto il governatore del Friuli Venezia Giulia – Ma come ha spiegato il presidente del Consiglio in modo chiaro e netto, l’avviso di garanzia serve all’indagato per poter far chiarezza”. Quindi l’esponente di Forza Italia, almeno a sentire Serracchiani, non rischia di essere estromesso dalla partita. Eppure, secondo i pm, l’avvocato Bruno ha ricevuto un incarico da curatore fallimentare direttamente dal legale di cui è molto amico e con cui divide lo studio professionale (non sono soci). Si tratta di una nomina da 2,5 milioni di euro e riguarda il fallimento della Itierre di Isernia, ex colosso del tessile che dava lavoro a circa 600 operai (ora in cassa integrazione). Il senatore berlusconiano (amico di Cesare Previti e molto vicino all’ex ministro Raffaele Fitto) al Fatto ha spiegato la sua posizione sulla vicenda e sulle possibili ricadute nella corsa alla Corte Costituzionale: “Non ho ricevuto avvisi di garanzia, quindi non mi risulta di essere indagato – ha detto Bruno – Mi hanno affidato la consulenza proprio in virtù del nostro rapporto fiduciario. Sono sereno: non rinuncerei alla candidatura anche se fossi indagato”.
Il senatore di Forza Italia, quindi, rimane tra i papabili per l’elezione alla Consulta. E non solo perché il suo partito (che è all’opposizione) non ha intenzione di ritirarlo, ma anche e soprattutto perché chi è al governo e alla maggioranza la vede nello stesso, identico modo. Tradotto: secondo i maggiori partiti italiani un indagato potrà sedere nel massimo organo di garanzia costituzionale del Paese, ovvero quello che – tra le altre cose – deve giudicare le leggi dello Stato e delle regioni. Per il Partito democratico non ci sono problemi. Le parole di Deborah Serracchiani (che nel Pd ha un peso specifico importante per ruolo e stima renziana) sono lì a testimoniarlo. Certo, il fatto che poi l’indagato Donato Bruno venga eletto alla Consulta è tutta da dimostrare. Il ticket composto dal senatore azzurro e da Luciano Violante, del resto, ha portato a casa tredici fumate nere, con tanto di monito di Napolitano, polemiche e continui rinvii. La prossima puntata è prevista per martedì. Ma prima c’è il fine settimana e non è detto che la strategia di insistere sugli stessi nomi resista (Renzi non ha nascosto che vorrebbe puntare su altri nomi), specie dopo la notizia dell’indagine a carico di Donato Bruno e a prescindere dal garantismo di Deborah Serracchiani.