Venti monoposto silenziose, dieci circuiti cittadini e la possibilità di dare una "spinta" al proprio pilota preferito. Il nuovo campionato s'ispira al vecchio, ma è più moderno. E promette ricadute positive sullo sviluppo delle auto elettriche
La Formula 1 senza il rumore della Formula 1: è questo il segreto della Formula E, il primo campionato del mondo per monoposto elettriche che ha preso il via sabato 13 settembre a Pechino. Un campionato approvato dalla Fia che promette di essere un vero laboratorio per la mobilità a basse emissioni. E che, almeno nella sua prima giornata, è sembrato decisamente più interessante della Formula 1, anche per chi è appassionato di sport a quattro ruote. Ecco perché.
Perché è emozionante. Almeno a giudicare dalla prima gara, il fatto che il rombo sia sostituito da un sibilo non toglie pathos alle gare: si corre sulle strade cittadine in percorsi stretti in cui non mancano sorpassi e incidenti. Per quanto non raggiungano le velocità delle monoposto di Formula 1, le Formula E sfiorano i 240 km/h e scattano da 0 a 100 in 3 secondi. A Pechino, all’ultimo giro, uno spettacolare incidente fra Nicolas Prost e Nick Heidfled ha rivoluzionato la classifica. E per fortuna nessuno si è fatto male. Per la cronaca, ha vinto Lucas di Grassi del team Audi Sport.
Perché è più facile da vedere. Tutto avviene in un giorno, sempre di sabato: due sessioni di prove libere, qualifiche e gara. Anche per gli spettatori che decidono di vederla dal vivo, la Formula E è molto più facile da seguire perché entro sera si conosce il vincitore del gran premio. In più le gare si svolgono in città: dopo Pechino, seguiranno, un gran premio al mese, Putrajaya (Malesia), Punta del Este (Uruguay), Buenos Aires (Argentina), Miami e Long Beach (Stati Uniti), Montecarlo, Berlino e Londra.
Perché si cambia auto a metà. Nonostante la gara duri solo un’ora, verso metà della corsa i piloti devono cambiare monoposto perché le batterie si scaricano. Per questo ognuno dei 10 team ha a disposizione quattro auto, due per ognuno dei suoi piloti. I piloti rientrano ai box e saltano dalla loro auto ad un’altra identica, se non fosse per il numero di colore differente che aiuta gli spettatori a capire se il pit stop è già avvenuto.
Perché la corrono uomini e donne. Su 20 piloti, due sono donne: l’americana Katherine Legge e l’italiana Michela Cerruti. Quest’ultima è in squadra con Jarno Trulli nel team svizzero Trulli Formula E Team. 13 piloti su 20 hanno già corso in Formula 1: fra loro Nelson Piquet, Nick Heidfield, Sébastien Buemi e Bruno Senna.
Perché promuove le nuove tecnologie. In questa prima edizione, la Formula E è una sorta di monomarca: le auto sono tutte Spark-Renault SRT_01E, con telaio in carbonio progettato dalla Dallara e pneumatici Michelin. Ma nelle prossime stagioni il campionato si aprirà alla competizione fra diversi costruttori, con una prevedibile ricaduta positiva sullo sviluppo della tecnologia elettrica e delle batterie. La Qualcomm sta già studiando un sistema di ricarica wireless in movimento che dovrebbe evitare il cambio auto a metà gara. Anche le safety car sono “green”, naturalmente: quest’anno sono le ibride plug-in BMW i8.
Perché è più social. Grazie al “FanBoost”, i tre piloti più votati su Internet hanno la possibilità di usare per cinque secondi un “boost” che aumenta la potenza delle loro auto da 150 a 180 kW (da 204 a 245 CV). È la prima volta che il tifo dei fan riesce a dare una “spinta” reale al pilota.