E’ la politica, bellezza: non ci vuole molto a fare il titolo della trasmissione Porta a porta della notte del 18 settembre 2014, nella quale, se è possibile, uno dei fondi più fondi del nulla televisivo nazionale ha segnato un record. Confermando la buona decisione di non vedere, da anni, la tv e informarmi in ogni altro modo possibile, sono stata quasi costretta a soffermarmi sulla trasmissione, in tarda serata, e ne sono tristemente lieta.
Lorella Zanardo, nel video Il corpo delle donne, sottolinea che è una responsabilità enorme usare gli stereotipi per giocarci, e che ci vuole una capacità non comune di gestire il potere (presunto) che hai nel farlo, per non uscirne massacrata: per questo la puntata è da vedere, perché è una fonte primaria per dirci il livello medio culturale di questo paese, e rivela chiaramente come profondi, radicati, cementati strutturalmente siano gli stereotipi, e quindi i pregiudizi, dentro l’informazione, dentro la cultura, dentro molte di noi.
Qui è vedibile l’intera puntata, un documento da studiare e sul quale ragionare molto, portandolo nelle scuole, nelle università e nei gruppi di condivisione, perché è un modello completo di asservimento al principio di conservazione dello status quo.
Solo alcune note a margine:
1) Da una parte le politiche (due di destra, una di Sel che ha quasi sempre taciuto). Il conduttore nomina il Pd (assente), dicendo di “aver chiesto delle new entry ma che evidentemente sono ‘ancora un po’ intimidite”.
2) Di politica non si parla, ma in compenso ci sono collegamenti con esperti di chirurgia plastica che maneggiano pornograficamente morbide protesi per il seno, ammiccano verso i glutei della modella/manichino muta, esempio dei nuovi canoni estetici odierni. Gli esperti fanno capire che il ritocchino è non solo diffusissimo, ma salutare e benvenuto.
3) Le giornaliste che fronteggiano le politiche sono più anziane di loro: forse presa da rimorso per la partecipazione ad un circo così vacuo una di loro attacca l’uso dell’inglesismo nel linguaggio di una delle deputate, cercando di umiliarla e di dare una svolta culturale al programma. Casualmente questa deputata è l’unica che, oltre a sapere l’inglese, sa anche l’italiano. Non sono però pervenute critiche al sessismo del sistema culturale, politico e sociale Italiano dalle colleghe della stampa, mentre molto tempo dall’una e dall’altra parte è speso per ‘ragionare’ sull’opportunità di mettere o meno (per andare in aula), la canottiera, la camicia o la gonna, e quanto corta. Laura Comi, reduce da Strasburgo, ci informa che al Parlamento Europeo sono meno fiscali che in quello nazionale: lì si entra anche senza cravatta. Evviva, l’Europa è più avanti.
Come coincidenza (significativa) segnalo che proprio in questi giorni una bancaria, che si occupava di Pari opportunità nel posto di lavoro, quel lavoro ora l’ha perso perché ha segnalato su Facebook che nella sua filiale i colloqui per nuove assunzioni erano molto influenzati dalla bella presenza delle candidate.
Si potrà discutere sull’opportunità di ‘mettere in piazza’ le questioni di un luogo privato (la banca non è l’amministrazione comunale) ma è legittimo chiedersi se la democrazia sia davvero ancora viva in un paese nel quale il pensiero critico verso il sessismo (ben distribuito tra donne e uomini) faccia ancora così paura da creare il vuoto intorno a chi prova a parlarne.
Come definire il sentimento che ho sentito da giornalista, da attivista femminista, da donna nel vedere trattato così il tema della partecipazione del mio genere alla politica in Italia? Ho provato vergogna, e umiliazione, a vivere in Italia. So bene che ci sono emergenze, (non solo problemi aperti e grandi), come il lavoro, la criminalità, la carenza educativa, sanitaria e abitativa. So bene che la cultura non viene considerata un’emergenza, quando palesemente tocca livelli di guardia, come ormai da oltre un ventennio precipita, nell’indifferenza e nella sottovalutazione. Ma sono consapevole che l’assenza di focalizzazione sui guasti che produce la banalizzazione degli stereotipi sessisti è un pericolo enorme per una collettività.
E che, purtroppo, le donne che ora sono nei luoghi decisionali raramente vi portano differenze tese al cambiamento: a destra come a sinistra come dei ‘movimenti’ la maggior parte di esse assevera la norma, neutra e quindi maschile. A chi, come la Bindi, insiste (ormai sola) a indicare come l’iper-sottolineatura dell’aspetto fisico femminile sia un danno per l’autorevolezza si risponde (vedi Alessandra Moretti, il nuovo femminile in rapida avanzata) che il gossip rosa avvicina la gente alla politica, e ben venga.
Se non ci sono orizzonti (almeno quelli) divergenti rispetto alla rassicurante melassa degli stereotipi, lo sguardo si ferma molto prima di riuscire ad avere visioni di liberazione. Ad Altradimora abbiamo ipotizzato di invitare per un tour in alcune città italiane la neoparlamentare della lista femminista svedese eletta con il 4%: forse c’è bisogno di un aiuto esterno per capire come salvarci da tutto questo, insopportabile, letale e offensivo scenario di banalità.