Liquidare il No all’indipendenza della Scozia con un God Save the Queen e una mano sul petto sarebbe semplicistico e sbagliato.
Va bene, la Scozia resta nel Regno Unito, Londra festeggia e Bruxelles si evita una bella grana, ma proprio non si può far finta di niente. E a ben guardare non è nemmeno una questione tutta scozzese. Il sussulto e l’attenzione globale che questo referendum ha avuto in tutta Europa la dice lunga sulla voglia di indipendenza di molte regioni del continente. Inutile anche contrapporre bandiere e inni nazionali ai pruriti secessionisti di questo o quell’angolo d’Europa. Destra e sinistra non c’entrano niente, e nemmeno la Lega Nord a dirla tutta.
Scozzesi, irlandesi, fiamminghi, catalani, baschi, bretoni, veneti (???). L’elenco dei regionalisti o supposti tale in Europa è lungo e sarebbe sciocco accusarli tutti di semplicismo o populismo – anche se si tratta di movimenti molto diversi tra loro sotto tutti i punti di vista e, va detto, con livelli di serietà variabile.
La voglia di indipendenza dagli Stati centrali è molta e all’origine di conflitti di varia entità mai davvero risolti del tutto. Questo perché molti cittadini non sentono con il proprio Stato nazionale alcun particolare legame, anzi ne farebbero volentieri a meno. Pazzi? Populisti? Irresponsabili? No, vero è il contrario.
Soli contro tutti? Anche questo non è vero, visto che la maggior parte di questi movimenti – ad esempio proprio gli scozzesi – non mettono in dubbio l’appartenenza all’Unione europea. Sono invece proprio i movimenti e partiti politici più spiccatamente nazionalisti a volerne uscire – si pensi al Front National in Francia, Jobbik in Ungheria, l’Ukip in Gran Bretagna.
Il referendum scozzese così come le istanze di catalani, fiamminghi e, perché no, veneti (lo ripeto, si tratta di movimenti molto diversi tra loro) dovrebbero servire ad aprire un serio e responsabile dibattito sul concetto di Stato nazionale e governo centrale, ma senza luoghi comuni, ideologie démodé e inutili provocazioni. D’altronde, se è vero che certe questioni sono meglio affrontabili su un piano europeo (e non nazionale) – politica estera, immigrazione, approvvigionamento energetico, bilancio, mercato unico, etc – è anche vero che altre questione sono meglio regolabili vicino al cittadino e non a centinaia se non migliaia di chilometri di distanza. Qualcuno in passato teorizzo l’interessante concetto di “Europa delle regioni”. Forse varrebbe la pena parlarne.
@AlessioPisano
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