Nonostante la sconfitta alle urne, il premier indipendentista ha ottenuto un risultato importante: ha costretto il primo ministro britannico David Cameron a promettere una maggiore devoluzione dei poteri, in un’ottica di un Paese sempre più federalista. Negli ultimi giorni Londra ha assicurato maggiore autonomia fiscale, meno interferenze sulle politiche locali e una House of Lords con un nuovo compito, quello di accogliere e gestire le istanze delle quattro nazioni del Regno
Alla fine, salendo sul palco subito dopo l’annuncio della sconfitta, il primo ministro scozzese Alex Salmond si è lasciato scappare un sorriso. Alla fine, infatti, il leader indipendentista una cosa l’ha ottenuta: una maggiore devoluzione dei poteri, in un’ottica di un Regno Unito, “Paese di quattro nazioni”, sempre più federalista. Non che l’autonomia mancasse a Edimburgo, con un suo parlamento, un suo governo e una sua (anche se in parte limitata) gestione fiscale. Ma ora chi fino a poche ore fa sventolava felice la bandiera scozzese, sperando in un risultato che comunque non c’è stato, può sognare in una nuova era per la Scozia. Una nazione finalmente alla ribalta dei media internazionali e dell’attenzione globale e corteggiata e coccolata, negli ultimi giorni, dai movimenti indipendentisti di mezzo mondo, che a Edimburgo sono accorsi per lo spoglio dei voti. Leghisti, indipendentisti sardi e altoatesini compresi.
Negli ultimi giorni, l’establishment britannico ha promesso maggiore autonomia fiscale, meno interferenze sulle politiche locali e soprattutto una House of Lords, la Camera alta del parlamento britannico, con un nuovo compito, quello di gestire le diatribe fra le quattro nazioni e soprattutto di cercare di accogliere le loro istanze a livello nazionale, tutte cose che finora erano praticamente riservate ai vari governi in carica e alle loro decisioni spesso legate al caso e agli umori del politico di turno. Il compito di ridisegnare il Paese, secondo le indiscrezioni della stampa, potrebbe essere assegnato a Gordon Brown, ex premier laburista, scozzese, storico rivale dei Tory e del premier in carica ma anche dalla “rinnovata fiducia” da parte dell’attuale esecutivo.
David Cameron, intanto, ha cercato di ridimensionare una crisi che per lui può essere anche di immagine, pur considerando il successo significativo del fronte degli unionisti, con tutta questa devoluzione di poteri nell’aria. “Ora andiamo avanti”, è stato il primo commento del premier conservatore, parlando da Downing Street alle sette del mattino ora locale, le otto del mattino in Italia. Andiamo avanti, appunto, “ma con più poteri per Edimburgo”. Cameron non ci sta infatti a passare per un politico che non mantiene le promesse. E l’impegno solenne con Scozia, durante la campagna referendaria condotta insieme al leader laburista, Ed Miliband, e a quello liberaldemocratico, Nick Clegg, era appunto quello di procedere nella devoluzione delle competenze.
Ma, parlando a Downing Street, Cameron è andato oltre, dicendo che “ora dobbiamo ascoltare le voci anche di Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord”. Negli ultimi tempi, infatti, da più parti sono giunte richieste di maggiori autonomie, compresa la città di Manchester che – ma qualcuno l’ha definita una “boutade” – aveva chiesto fra le righe di poter diventare una sorta di città indipendente, una città metropolitana “all’italiana” ma con molti più poteri, un qualcosa che finora, nel Regno Unito, è praticamente concesso soltanto alla capitale, Londra. Anche il leader dello Ukip, Nigel Farage, alleato del Movimento Cinque Stelle all’europarlamento, ha chiesto che la voce dell’Inghilterra “venga ascoltata”, augurandosi un maggiore federalismo di quel Regno Unito che in realtà è sempre più frammentato al suo interno. La monarchia è salva e comunque non era stata messa in dubbio anche da questo referendum, Salmond aveva promesso una nuova nazione con la sovrana Elisabetta II, comunque, come capo di Stato. La regina può stare tranquilla quindi (con la sconfitta del sì rappresentata a livello simbolico dalla vittoria con il 53% degli unionisti nelle Highlands, le terre del nord i cui abitanti i più fieri scozzesi, quelli di Braveheart – film con il quale il movimento indipendentista ebbe nuovo impulso a livello mediatico – hanno rifiutato l’indipendenza), ma è sempre più profonda la frattura fra le varie aree che compongono una delle più grandi potenze mondiali, confini che non sono solo quelli ufficiali e di seggi parlamentari, con la Cornovaglia sempre sul chi va là, il Galles che sostiene sempre di essere escluso dai grandi giochi e l’Irlanda del Nord, con quei problemi decennali di stabilità. Non c’è solo la Scozia.
Intanto, esulta la stampa britannica, schierata fin da subito per il “No” all’indipendenza della Scozia: “Restiamo assieme”, titola il Times, e manca solo un punto esclamativo. “Il Regno Unito è salvo, la Scozia rigetta l’indipendenza”, è l’annuncio del Daily Telegraph. Il Guardian, invece, rimane più neutrale, ma posta in prima pagina, nella versione online, le foto di indipendentisti piangenti e unionisti esultanti, in giro per le strade scozzesi. “La Scozia dice No!”, è il titolone del Daily Mail, con un sottotitolo ancora più in risalto: “La Gran Bretagna respira ancora”. Anche la stampa scozzese pare celebrare la vittoria del movimento per il “No”, con lo Scotsman in prima fila con il titolo “La Scozia dice No! Grazie!”. Ma forse la vera chiave di lettura arriva da The Herald, che sottolinea la nuova aria che tira a Londra e nel resto del Paese da questa mattina. Basta un titolo: “La Scozia dice di no ma cambia il Regno Unito in meglio”.