In base ai risultati di una ricerca della University of Cambridge, pubblicata su “The Lancet Neurology”, infatti, in almeno un caso su tre la malattia è prevenibile agendo su sette principali fattori di rischio: diabete, ipertensione, obesità, sedentarietà, depressione, fumo e anche basso livello d’istruzione
La crisi economica non intacca solo i risparmi degli italiani, ma peggiora anche la loro salute mentale. I consumi sono ancora fermi al palo, malgrado il bonus fiscale di 80 euro introdotto dal Governo. Ad aumentare, invece, secondo quanto certifica una recente indagine dell’Istat “Tutela della salute e accesso alle cure”, sono i casi di depressione, che riguarda 2,6 milioni di italiani, e di Alzheimer e demenza, cresciuti del 50% rispetto al 2005, fino a superare, secondo le stime del World Alzheimer report 2014, la cifra di 600mila malati. Solo una minoranza, però, uno su cinque, riceve cura e assistenza domiciliare pubblica. Gli aspetti economici e sociali della malattia e la sua prevenzione sono al centro della XXI Giornata mondiale dell’Alzheimer, promossa il 21 settembre dall’Alzheimer’s disease international (Adi), la federazione internazionale legata all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che riunisce le associazioni che si occupano della patologia.
“Siamo consapevoli che la crisi costringe il Governo ad affrontare altre priorità, ma la demenza, e la malattia di Alzheimer in particolare, sono ormai diventate un’epidemia globale – sottolinea in una nota Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia -. Nel mondo tredici Paesi hanno attuato un piano nazionale sulle demenze. Non sono tanti, è vero, ma tra questi ancora non c’è l’Italia. L’obiettivo da raggiungere è creare una rete di servizi e assistenza su tutto il territorio nazionale per non lasciare soli malati e familiari”.
In base al rapporto appena reso pubblico dall’Adi, l’Alzheimer, la più comune forma di demenza senile con un’origine sia genetica che legata a fattori ambientali, colpisce nel mondo più di 25 milioni di persone, soprattutto anziani sopra i 65 anni di età, in prevalenza donne. Una cifra destinata a triplicare entro il 2030 toccando i 76 milioni di casi, secondo le previsioni dell’Adi messe nero su bianco nel documento “L’impatto globale della demenza 2013-2050” – stilato per il G8 dello scorso dicembre in cui per la prima volta sono stati affrontati questi temi -, fino a raggiungere i 135 milioni nel 2050. “Si tratta di un problema che non riguarda più solo i Paesi del G8. Entro il 2050 – spiega Marc Wortmann, direttore esecutivo dell’Adi – il 71% dei malati vivrà nei Paesi a basso e medio reddito”. “Dobbiamo cambiare il nostro attuale approccio alla malattia – aggiunge Margaret Chan, direttore generale dell’Oms -, spesso riassunto in quattro parole: nulla può essere fatto. La demenza ha un impatto immenso da vari punti di vista, medico, psicologico, emotivo e finanziario. La nostra priorità – sottolinea l’esperta – dev’essere aiutare i Paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, a fronteggiare il problema dell’invecchiamento della popolazione, dimostrando una maggiore fiducia nella ricerca scientifica”.
Sul fronte della ricerca, gli sforzi si stanno concentrando sempre più sull’importanza di prevenzione e diagnosi precoce. In particolare, sul legame tra la progressiva perdita delle capacità cognitive e altre patologie come disturbi cardiovascolari e diabete. Quest’ultimo ad esempio, secondo il World Alzheimer report, è in grado di aumentare il rischio demenza del 50%. In base ai risultati di una ricerca della University of Cambridge, pubblicata su “The Lancet Neurology”, infatti, in almeno un caso su tre l’Alzheimer è prevenibile agendo su sette principali fattori di rischio: diabete, ipertensione, obesità, sedentarietà, depressione, fumo e basso livello d’istruzione.
Un importante passo verso una diagnosi più tempestiva potrebbe, invece, essere rappresentato da uno studio della University of California, appena pubblicato sulla rivista “Nature Neuroscience”. Secondo i ricercatori Usa, il cervello umano è in grado di compensare i primi segni della malattia aumentando l’attività cerebrale, per mantenere la capacità di pensare, e contrastare i danni precoci causati dall’accumulo di placche proteiche nei neuroni. Un accumulo che porta alla progressiva degenerazione nervosa, che si manifesta con deficit di memoria, disturbi del linguaggio, perdita di orientamento spaziotemporale e frequenti cambiamenti di umore.