La pena decisa con rito abbreviato è quella di omicidio volontario, aggravato da stalking e occultamento del cadavere. Il corpo di Silvia Caramazza, 39 anni, è stato trovato nel 2013 in un congelatore a casa della vittima. Il giudice ha inoltre riconosciuto una provvisionale di risarcimento per alcuni parenti della vittima e per l'Unione Donne Italiane (Udi)
Trent’anni di carcere per omicidio volontario aggravato. È la pena decisa dal gup Gianluca Petragnani Gelosi per Giulio Caria, l’artigiano 35enne di Berchidda (Olbia-Tempio) imputato per l’omicidio della sua ex, la 39enne commercialista bolognese Silvia Caramazza, avvenuto lo scorso anno a Bologna. La decisione è arrivata dopo quattro ore di camera di consiglio, nella seconda udienza del processo celebrato con rito abbreviato. Non è stata accolta, quindi la richiesta di ergastolo del pm Maria Gabriella Tavano.
Decisiva per la decisione del giudice è stata l’aggravante dello stalking, visto che sembra che l’omicidio sia stato l’evento culmine di una relazione caratterizzata da vessazioni e persecuzioni. Altre aggravanti sono state l’aver agito con crudeltà e l’occultamento del cadavere. Il corpo di Silvia Caramazza è stato trovato il 27 giugno 2013 in viale Aldini, nella casa bolognese della donna, dentro un freezer: un omicidio che risale alla notte tra l’8 e il 9 giugno. Gli avvocati di Giulio Caria, Agostinangelo Marras e Savino Lupo, faranno ricorso in appello.
Il gup ha riconosciuto inoltre per alcuni parenti della vittima una provvisionale di 20 mila euro. Ma la questione economica, hanno più volte ribadito i legali, non era sul campo giacché l’interesse dei famigliari – vista anche la quasi impossibilità di ottenere dal condannato un risarcimento – era solo quello di stare nel processo. Provvisionale di risarcimento anche all’Unione Donne Italiane (Udi) e al Comune di Bologna, ente quest’ultimo che per la prima volta aveva deciso di costituirsi parte civile in un procedimento per un femminicidio.
“Noi siamo soddisfatti per la pena – ha spiegato l’avvocato Rossella Mariuz, per l’Udi – e non tanto per il danno economico. La nostra era solo una richiesta formale per stare nel processo. Su questo punto tutte le parti civili sono sempre state concordi. Non si mirava al risarcimento, che comunque molto probabilmente non ci sarà, ma volevamo esserci. In questa città c’é tantoassociazionismo femminile, e ci sono tante istituzioni che su questi temi combattono e lavorano assieme. E volevamo essere assieme anche in questo processo. Le cifre sono basse, ma sono solo provvisionali, e poi l’importante è che ogni parte civile abbia detto quello che doveva dire e abbia dato il suo apporto al processo che è stato condotto con molto equilibrio dal Gup”.