Economia

Commercio mondiale, i negoziati Usa-Giappone in stallo su auto e agricoltura

Per Barack Obama chiudere le trattative sulla Trans-Pacific partnership, accordo di libero scambio che dovrebbe facilitare gli scambi tra le due sponde del Pacifico, è cruciale ai fini del rilancio della produzione. Ma i nipponici non vogliono concedere a Washington 30 anni di tempo per eliminare le tariffe sulle macchine e chiedono di escludere dal trattato cinque prodotti agricoli sensibili

I negoziati sul Transatlantic trade and investment partnership (Ttip), il trattato sul libero commercio in discussione tra Usa e Unione Europea, riprenderanno solo alla fine di questo mese. Ma quelli sul suo gemello Trans-Pacific partnership (Tpp), che riguarda gli Stati Uniti e l’area del Pacifico, non si sono fermati durante l’estate, in particolare per quanto riguarda l’asse con il Giappone. Le trattative sul Tpp, che nelle intenzioni dovrebbe facilitare il commercio e gli investimenti reciproci nelle due aree, sono infatti condotte su un doppio binario: da una parte in forma multilaterale tra tutti i Paesi coinvolti (oltre ai due principali anche Australia, Brunei, Canada, Cile, Indonesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam), dall’altra in bilaterale tra Washington e Tokyo. Il perfezionamento di quest’ultima trattativa condiziona la riuscita dell’altra, e dunque nelle ultime settimane le attenzioni sulle due sponde del Pacifico si sono concentrate sulle frizioni che i due Paesi hanno incontrato difendendo le rispettive posizioni.

In particolare i punti di disaccordo riguardano due aspetti. Il primo è relativo al settore automobilistico: gli Stati Uniti, che non vedono l’ora di poter entrare nel super protetto mercato giapponese, hanno infatti chiesto di dilazionare l’abolizione delle proprie tariffe in questo comparto su un arco temporale di 30 anni, una proposta che i nipponici hanno rispedito al mittente. Tuttavia – e veniamo all’altro aspetto – secondo alcune rivelazioni questa intenzione sarebbe stata una rappresaglia da parte degli americani alla richiesta giapponese di escludere dal trattato cinque prodotti agricoli e di allevamento considerati “sensibili” per l’economia di Tokyo: riso, grano, zucchero, bovini e suini. O almeno di definire delle quote. 

Per il presidente Barack Obama, che sta attraversando un periodo difficile nel suo rapporto con l’opinione pubblica americana (secondo il monitoraggio di Gallup la percentuale di approvazione del suo lavoro è attualmente al 38%, così in basso solo nell’autunno del 2011), la chiusura della trattativa con il Giappone e gli altri Paesi è un obiettivo importantissimo, al fine di rilanciare produzione e consumi del proprio Paese. E per questo negli ultimi giorni, sull’incerto assunto di un riavvicinamento delle posizioni entro la fine dell’anno, ha iniziato ad accelerare i contatti con il primo ministro giapponese Shinzo Abe in previsione di una sua visita a Washington nei primi mesi del 2015, dopo l’ultima del febbraio 2013.

Le pressioni americane sul Giappone (per definirle, nell’isola è stato coniato nel secolo scorso un apposito termine, gaiatsu) in passato hanno avuto un certo successo. Ma adesso le armi degli Usa sembrano spuntate. L’economia nipponica oggi poggia molto meno che in passato sulle esportazioni verso l’America, considerata la crescita generale del continente asiatico. Resta invece molto forte il legame fondato sulla sicurezza: su questa alleanza bilaterale sono attese revisioni e novità nel prossimo autunno. E potrebbe essere proprio questo il grimaldello che Washington proverà a utilizzare per portare a casa i propri obiettivi.