Ho incontrato Ines Testoni, Direttrice del Master “Death Studies and the End of Life” e direttore scientifico dell’evento.
Gli studi sulla paura della morte ed il suo controllo stanno catalizzando negli ultimi anni un sempre maggiore interesse, quasi un modo – all’opposto – per annullare la tendenza, che ha caratterizzato la cultura della seconda metà del Novecento, a censurare e isolare qualsiasi manifestazione ed elaborazione del morire.
Questo nuovo corso sembra orientato ad offrire un’alternativa all’incapacità di affrontare la ricerca di senso intorno alla finitudine umana e alle sue manifestazioni. Il merito di tale renaissance può essere riconosciuto per un verso all’ambito della formazione universitaria, in cui sta crescendo la determinazione di affrontare e trattare l’argomento attraverso specifici percorsi di studio.
Quali saranno le tematiche che troveranno discussione e sviluppo nell’ambito del Congresso di Padova?
Il congresso dà l’opportunità di coinvolgere le diverse discipline scientifiche e artistiche per diffondere una competenza ampia e ben articolata rispetto al morire, affrontando le rappresentazioni della morte, per pervenire a validare le modalità ed i percorsi emotivi più opportuni e giungere consapevoli al momento estremo. Si tratta di una questione con una valenza inevitabilmente etica, perché parlare di morte produce sempre angoscia, come gli studi della Terror Management Theory [TMT] mettono chiaramente in evidenza. Secondo queste ricerche, quando i messaggi che riguardano la morte diventano preminenti, il terrore prende il sopravvento su tutto, provocando conseguenze molto spesso dolorose e difficili da gestire.
Sembra di comprendere che “Seeing beyond” introdurrà una riflessione interdisciplinare – tra scienza, etica ed arte – per lo sviluppo e lo studio delle tematiche attinenti alle diverse modalità di configurazione della perdita, per consentire finalmente un dialogo ampio e disteso.
L’appuntamento è stato pensato con l’intenzione di definire gli orizzonti all’interno dei quali possa prendere forma la consapevolezza della finitudine e dell’angoscia, in un percorso di ricerca delle parole che attribuiscono senso alle forme del dolore.
L’esigenza di trovare le parole e i gesti per entrare in relazione con i morenti sta diventando quindi un elemento costante della quotidianità?
Senza però cedere alla tentazione di offrire quella pietà che forse loro sperano di non ottenere come risposta, aspirando al mantenimento della dignità della propria immagine, fino all’ultimo. Il congresso ‘Seeing beyond in facing death/Vedere oltre dinanzi al morire’ permetterà dunque a scienziati e artisti di confrontarsi su questi temi, nella consapevolezza generale di non essere in grado di proporre soluzioni universali e ragionamenti determinanti, per far comprendere il senso della morte a coloro che chiedono aiuto e sostegno nel percorrere il tratto più difficile del proprio passaggio sulla terra.
Da dove sarebbe più opportuno iniziare il percorso?
Una prospettiva particolare viene offerta in questo percorso dal pensiero di Emanuele Severino, tenuto sempre ben presente in quanto capace di sviluppare il fondamento di base per riconoscere le tracce dell’ulteriorità, che possono riconquistare la propria più autentica dignità ontologica solo procedendo dall’elaborazione di ciò che è definito come impossibilità dell’annientamento. Tale indicazione mette infatti in evidenza la follia di qualsiasi espressione del riduzionismo, da quello più esplicito del materialismo fino a quello nascostamente presente anche nei più insospettabili spiritualismi o idealismi, che a qualche livello negano l’infinito essere di ogni istante, magari proprio nel tentativo di volerlo riconoscere.
Qual è l’indicazione del filosofo?
Severino parte da una riflessione sulla morte, che fin dalle origini di ogni cultura, ha ispirato il ripensamento di tutti i principi su cui si basano e si organizzano le relazioni umane. L’uomo abita, prima che gli spazi e le cose, la parola. L’oscurità dell’autoinganno contamina le rappresentazioni della morte – così come essa è sempre stata intesa in tutte le latitudini e in ogni cultura – ma dalla diagnosi delle forme di dissipazione può infatti nascere una nuova coscienza che definisco da tempo come “redenzione del linguaggio” e da cui è possibile far derivare un autentico rinascimento dell’abitare il mondo.
Quali sono le innovazioni che il Congresso introdurrà?
Il riferimento al pensiero di Emanuele Severino mi permette di promuovere un ulteriore ambito di innovazione in Italia: l’apertura di un campo di intervento, studio e ricerche che viene indicato con il termine “death education” e che coltivo ormai da una decina di anni, guidando esperienze davvero significative nelle scuole di ogni ordine e grado.
È quindi possibile parlare di morte con bambini e adolescenti in modo sufficientemente chiaro e competente per ridurre la paura e offrire loro una più significativa valorizzazione della vita?
Certamente. Questo perché considerare le modalità con cui il morire si manifesta e altresì con cui la morte viene gestita socialmente e rappresentata nelle biografie individuali, permette di non abbandonare nelle segrete dell’inconscio ciò che più si teme. La death education permette che il rimosso, una volta creduto dimenticato, non continui in modo occulto a scavare voragini nella nostra mente. Al contrario, guardandolo bene in faccia, il temibile può svelare che dietro ciò che ci sembra orrendo si nasconde lo splendore.