Tempi duri per i nemici della rivoluzione venezuelana. Sembra definitivamente fallito il tentativo golpista-insurrezionale dei pariolini di Caracas, coadiuvati da avanzi di galera e residuati bellici del paramilitarismo colombiano, che rischiano la disoccupazione e anche il carcere a causa del processo di pace promosso dal presidente Santos e dalle Farc.
E’ in gioco la capacità del popolo venezuelano di conservare e migliorare le indubbie conquiste ottenute sul piano economico, politico e sociale, consolidando la democrazia partecipativa e combattendo senza quartiere, insieme alle bande controrivoluzionarie e ai persistenti tentativi di ingerenza imperialista, fenomeni come la corruzione e la criminalità, che hanno radici profonde nella storia del Paese.
E’ da questo punto di vista che vanno valutate le decisioni recentemente assunte dal presidente democraticamente eletto Nicolàs Maduro, che si conferma il degno successore del comandante Chavez, grande figura di leader politico prematuramente scomparso che resterà per sempre negli annali della lotta per il progresso dell’umanità e dell’America Latina in particolare.
Si tratta del cosiddetto sacudón (scossone) impresso da Maduro al Paese e che consiste nelle seguenti misure da realizzare nell’arco di cinque anni: rivoluzione economica, volta alla diversificazione produttiva: rivoluzione nella conoscenza, la scienza, la cultura, la tecnologia; rivoluzione delle missioni socialiste attive nei servizi sociali (salute, istruzione, abitazione, ecc:) volta a conferire loro rango pienamente ministeriale; rivoluzione politica volta a costruire uno Stato democratico reale, di giustizia, sociale e di diritto; rivoluzione territoriale, da realizzare assumendo un modello decentrato basato sui Comuni e un asse ecologico di sviluppo.
Un programma davvero ampio e significativo, sul quale dovrebbero convergere tutte le energie della nazione venezuelana, superando ogni gretta visione settoriale e settaria e liquidando il retaggio del passato. Riusciranno il governo e il popolo venezuelano a realizzarle? Bisogna augurarsi davvero di sì, nell’interesse di tutto il pianeta a sperimentare nuove forme politiche, economiche e sociali basate sull’eguaglianza effettiva, la partecipazione popolare e lo sforzo cooperativo al raggiungimento degli obiettivi di interesse comune.
Bisogna d’altronde riconoscere che il clima generale della regione latinoamericana continua a volgere al meglio, come riconoscono perfino due commentatori non certo progressisti come Enrique Krauze e Mario Vargas Llosa (si veda l’intervento del primo su Internazionale dell’8 settembre), i quali peraltro ovviamente non rinunciano alle critiche eccessive e tendenziose nei confronti del governo chavista.
Vero è invece che il chavismo è parte integrante e decisiva della rivoluzione latinoamericana in corso, che si caratterizza anche per un contributo rilevante alla soluzione di gravi problemi di carattere internazionale come il debito estero (si veda la risoluzione approvata al riguardo dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite su proposta della Bolivia), il cambiamento climatico (vedi il mio recente post in materia) e il ruolo delle multinazionali (con il Trattato proposto al riguardo dall’Ecuador).
Mentre ha celebrato, proprio a Caracas, i suoi primi dieci anni di vita l’Alba (l’Alianza Bolivariana de América Latina), importante esperimento di integrazione fra questi ed altri Paesi e, con la riunione svoltasi a Fortaleza il 15 luglio i Brics hanno dato vita a istituzioni finanziarie internazionali alternative a quelle dominanti. E la regione latino-americana e dei Caraibi nel suo complesso si rivela, come confermato dal più recente Rapporto sulla sicurezza alimentare, la migliore dal punto di vista del successo nella lotta alla fame e alla malnutrizione.
Continuano peraltro a permanere significative diseguaglianze sia territoriali che sociali anche all’interno di tale regione. Una decisa sterzata nella direzione di una maggiore uguaglianza e di un maggiore intervento pubblico orientato al soddisfacimento dei crescenti bisogni sociali, del tipo di quella che si profila in Venezuela, appare pertanto necessaria per l’insieme dell’America Latina, come indicano anche i movimenti di massa che si sono manifestati in Brasile in occasione dei recenti campionati mondiali di calcio.
La scommessa è globale. Proprio nella ricerca di un’alternativa planetaria al fallimentare sistema dominante sono oggi più che mai attivi, in vario modo, ma con intenti convergenti, i Paesi dell’America Latina con i quali l’Unione Europea e i singoli Paesi che ne fanno parte, come l’Italia, dovrebbero portare avanti una cooperazione e un confronto effettivo anche per superare i gravi limiti che li contraddistinguono e che determinano gravi problemi per la loro cittadinanza.