Prima ha preso una bottiglia di plastica vuota e con una pazienza infinita l’ha tagliata a metà. Non sarei certo stata capace di fare meglio. Ma ahimé, il piccolo mare della vasca da bagno ha rapidamente capovolto l’intrepido vascello. Nino, però, non si è scoraggiato: l’ho visto vagare per casa, con gli occhi che studiavano gli oggetti negli armadi, le mani che misuravano, pesavano. In breve ha improvvisato una coperta: prima di cartone che subito si è inzuppato e non ha retto alle onde domestiche. Meglio la carta stagnola. Ancora, però, non bastavano l’ingegno di Nino e gli scongiuri miei che seguivo il varo dalla stanza accanto perché la barchetta prendesse il largo. Il piccolo ingegnere, però, ha molta più grinta di un adulto: ha scovato chissà dove due bulloni e li ha sistemati come contrappeso nella chiglia. Addirittura ha improvvisato – chissà mai dove l’avrà vista – una deriva degna delle barche di Coppa America. E alle undici abbiamo tutti assistito al varo della nave che è riuscita a superare indenne la traversata fino al rubinetto della vasca.
Com’è piccolo questo mare, Nino, rispetto a tutti quelli che dovrai attraversare!, ho pensato. Ma forse sono io che sto sbagliando. Che come tanti genitori non ho capito la serietà e la grandezza dei giochi dei bambini.
Non è soltanto per questa barchetta che Nino cercava un contrappeso contro le onde, una deriva per non perdere la rotta. E l’orizzonte che vedeva andava ben oltre quello della vasca.
Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 15 settembre 2014