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Egitto, esplosioni al Cairo: la crisi del modello di Al Sisi nella lotta al terrorismo

Attacchi nella capitale e in altre città del Paese nel giorno in cui il presidente arriva all'Onu. La sua propaganda contro il radicalismo lo ha legittimato sul piano internazionale ma ha prodotto un pericoloso effetto boomerang per la sicurezza nazionale

Nel giorno dell’arrivo del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi all’Assemblea Generale della Nazioni Unite, gli attacchi terroristici tornano a colpire il centro del Cairo. Al momento le operazioni militari annunciate nel Sinai, la penisola egiziana al confine con Israele dove hanno base i gruppi jihadisti che operano nel paese, non hanno allentato l’ondata di violenza dopo la deposizione del presidente islamista Mohammed Morsi nel luglio del 2013. L’uccisione di alcuni esponenti di spicco della jihad in Sinai e i numerosi arresti annunciati dall’esercito egiziano sembrano aver semplicemente allentato l’attività terroristica fuori dalla penisola.

Gli attacchi di domenica 21 settembre – oltre al Cairo ci sono state 4 esplosioni a Tanta, Mahalla e nella linea ferroviaria che dalla capitale porta a Zagazig – mettono dunque in profonda crisi il “modello egiziano” della lotta al terrorismo. Un modello enfatizzato dalla propaganda di governo e su cui Sisi ha costruito il suo consenso in Egitto e a livello internazionale. Oggi l’ex capo delle forze armate sarà presente all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite forte della credibilità attribuita all’Egitto nella coalizione a sostegno del piano americano contro lo Stato Islamico. Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, Washington donerà a breve 10 elicotteri Apache per potenziare l’esercito egiziano nelle operazioni anti-jihad.

Ma al momento il pericolo terrorismo se da un lato ha permesso la legittimazione del nuovo governo, e la conseguente repressione contro tutte le forme di dissenso, dall’altro sta producendo un pericoloso effetto boomerang per la sicurezza nazionale. A questo si aggiunge un cambio di strategia da parte del gruppo jihadista più attivo nel paese, Ansar Bayt al Maqdis. Definito da diversi analisti affiliato in maniera ufficiosa ad Al Qaeda, al Maqdis a fine agosto ha diffuso un video che mostra la decapitazione di 4 cittadini egiziani accusati di essere spie del Mossad. Questi nuovi atti di violenza e lo stile del messaggio di rivendicazione fanno pensare a un avvicinamento del gruppo allo Stato Islamico ma al momento trovare conferma di questo passaggio è molto difficile e le uniche informazioni a disposizione sono i comunicati ufficiali dell’esercito.

Alcuni militari egiziani hanno affermato alla stampa che in Sinai sarebbero nate delle nuove cellule di IS a causa del rientro in patria di diversi jihadisti egiziani che hanno preso parte al gruppo del califfo Abu Bakr Al-Baghdadi in Siria e in Iraq. Inoltre, sempre secondo quanto riportato da fonti di sicurezza, IS sarebbe in contatto anche con dei miliziani presenti nella zona a sud ovest dell’Egitto, a ridosso dei confini con la Libia dove lo scorso luglio almeno 20 poliziotti sono rimasti uccisi in un attacco contro un check point. Le poche notizie che nell’ultimo anno arrivano dal Sinai, anche a causa della difficoltà dei giornalisti di lavorare nella zona, non aiutano a fare chiarezza su un fenomeno che, al di là della propaganda, continua a rallentare la ripresa del paese scoraggiando l’arrivo di nuovi investitori e il ritorno dei turisti che sino al 2010 costituivano l’11% del prodotto interno lordo del paese.