A leggere il documento intitolato ”Programma di razionalizzazione delle partecipate locali redatto dalla struttura per la “spending review” guidata da Carlo Cottarelli non si apprende nulla di nuovo. I dati contenuti nel documento sono, infatti, risalenti al 2012 e ricavati dalla banca dati del Ministero dell’Economia, che costituisce la fonte principale del rapporto. Il rapporto non contiene né un’analisi economica sugli effetti dei processi di privatizzazione nel settore dei servizi pubblici locali, né uno studio sulla qualità dei servizi offerti dalle partecipate locali, né un approfondimento sul se, sul come e sul perché le attuali gestioni dei servizi pubblici locali a rilevanza economica – acqua, luce, gas, rifiuti, trasporto pubblico locale – producano perdite. A ben vedere, il documento Cottarelli, oltre a presentare insufficienze sul piano dell’analisi, appare basato sul pregiudizio che il privato sia sempre e comunque più efficiente del pubblico, in coerenza con il mainstream liberista.
Non stupisce, dunque, che la conclusione del documento sia quella ampiamente riportata dalla stampa: ridurre le partecipate locali dalle attuali 8.000 a 1.000. L’idea è che per evitare gli sprechi nella spesa pubblica locale anziché “efficientare” le partecipate esistenti occorra privatizzare e tenere all’interno del perimetro della pubblica amministrazione soltanto i servizi che non possono essere forniti dai privati. A conferma di ciò basti pensare che, secondo Cottarelli, il criterio che dovrebbe guidarci è esclusivamente il seguente: «Potrebbe l’attività essere svolta dal privato?». Salvo precisare in nota, qualora a qualcuno non fosse chiaro, che «per privato si intende qui la proprietà da parte di soggetti privati e non la proprietà in forma privatistica da parte di un soggetto pubblico». Non società solo formalmente private a totale capitale pubblico, ma privato «vero».
Peccato che Cottarelli cada subito in contraddizione: non si comprende, infatti, in che modo la riduzione delle remunerazioni per gli amministratori di aziende partecipate possa indurre un efficientamento dal momento che nessun manager di spessore sarebbe disponibile ad affrontare maggiori responsabilità personali e patrimoniali a fronte di uno stipendio inferiore a quello pagato dal privato. Tale ragionamento ci porta a evidenziare l’ulteriore contraddizione del documento Cottarelli secondo il quale la principale riduzione dei costi di amministrazione deriverebbe dalla cessione delle partecipate. È come se gli utenti dei servizi privatizzati, cioè famiglie e imprese, non dovessero più pagare in bolletta il costo della remunerazione degli amministratori che, tra l’altro, in una gestione privatistica sarebbe sicuramente più alto. A ciò si aggiunga che tali ragionamenti intorno ai costi degli amministratori sembrano fondati sui dati di quelle partecipate locali che hanno una struttura organizzativa “patologica”, con un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti. Ma sulla necessità di liquidare tali partecipate non si può che concordare.
Insomma, l’impostazione generale del documento del Commissario Straordinario per la revisione della spesa sembra avere un unico obiettivo: rilanciare, anche nel settore dei servizi pubblici locali, la ricetta seguita in Italia dal 1991 al 1995 quando, in una situazione di crisi finanziaria e di pressione dei mercati internazionali, l’Italia privatizzò pressoché tutti i servizi pubblici di livello statale con la promessa che il ricavato sarebbe andato a ridurre il debito pubblico.
D’altra parte come ha chiarito di recente Piero Giarda «nei quattro anni dal 2008 al 2012, con un tasso di crescita risultato inferiore al tasso d’inflazione, la spesa totale al netto degli interessi in termini reali si è ridotta del 3,8 per cento, la spesa per consumi pubblici del 7,7 per cento e la spesa in conto capitale del 24,7 per cento». Insomma, per quanto i numerosi tagli lineari e l’austerità degli ultimi anni non abbiano migliorato la situazione, si intende ancora procedere con le privatizzazioni. E non essendoci più nulla da vendere a livello statale, se non le Poste S.p.a. e qualche residua quota di Enel ed Eni, è necessario privatizzare le partecipate locali.
La ricetta per affrontare la crisi è sempre la stessa: tagliare la spesa pubblica sulla base dell’urgenza del momento, sotto la pressione dei mercati e dello spread per ottenere effetti immediati e senza guardare al medio-lungo periodo. Con l’aggravante che, a differenza dei servizi pubblici di livello statale, quelli locali incidono direttamente sia sulla qualità della vita dei cittadini sia sui bilanci delle famiglie e delle imprese già fortemente in sofferenza. Pertanto, nel settore dei servizi pubblici locali il cosiddetto «merito allocativo» riveste un’importanza fondamentale.
A tutto ciò si aggiunge che la privatizzazione dei servizi pubblici locali mediante vendita a soggetti privati o mediante la quotazione in borsa degli attuali gestori comporta numerosi problemi sia dal punto di vista economico, sia da quello giuridico e politico.
Dal punto di vista economico, si è già tentato di affrontare la questione della privatizzazione di settori che si trovano in condizioni di monopolio naturale introducendo l’idea che la libera concorrenza vada realizzata mediante cicliche gare per l’affidamento dei servizi. Per questo, si è parlato in questi anni di concorrenza per il mercato anziché di concorrenza nel mercato. Ma a tutt’oggi non si riesce a risolvere il problema centrale che è quello del trasferimento di potenziali rendite da monopolio dal settore pubblico a quello privato. Sul tema appare insufficiente anche il documento Cottarelli che si limita a qualche accenno all’introduzione «del criterio del costo standard come base di gara e del subsidy cap come sistema per la determinazione dell’evoluzione nel tempo del corrispettivo per il servizio pubblico».
Dal punto vista giuridico, poi, la questione si è dimostrata ancora più ostica dal momento che sganciare i servizi pubblici locali dalla pubblica amministrazione di cui costituivano, da circa un secolo, un vero e proprio braccio organizzato in forma aziendale, si è dimostrata operazione più difficile del previsto. La moltiplicazione delle società pubbliche non solo è una diretta conseguenza delle riforme degli ultimi vent’anni, ma è una prova delle oggettive difficoltà di privatizzazione del settore e dei numerosi errori commessi in passato.
E veniamo al problema politico. Se le privatizzazioni dei servizi pubblici di livello statale sono state giustificate con la necessità di abbassare il debito pubblico statale, non altrettanto può essere sostenuto per le partecipate locali, la cui vendita andrebbe a impattare sui bilanci degli enti locali e solo indirettamente sulla finanza statale. Sia chiaro che nessuno intende difendere carrozzoni inutili e dispendiosi o sprechi di denaro pubblico, per cui ben venga la liquidazione di quelle oltre mille società che esistono solo sulla carta e ben venga la riduzione dei posti nei consigli d’amministrazione, ben vengano alcuni dei provvedimenti meritoriamente individuati dal documento Cottarelli. Ma deve essere altrettanto chiaro che il settore dei servizi pubblici locali va trattato con profonda attenzione alla qualità della spesa e al «merito allocativo» poiché le conseguenze di un’indiscriminata privatizzazione potrebbero incidere pesantemente sui bilanci familiari e potrebbe determinare un ulteriore complessivo impoverimento del Paese.
di Sergio Marotta
www.economiaepolitica.it, 20 settembre 2014
Economia e politica
Rivista online di critica della politica economica
Economia & Lobby - 21 Settembre 2014
Spending review: le privatizzazioni e i pregiudizi del piano Cottarelli
A leggere il documento intitolato ”Programma di razionalizzazione delle partecipate locali redatto dalla struttura per la “spending review” guidata da Carlo Cottarelli non si apprende nulla di nuovo. I dati contenuti nel documento sono, infatti, risalenti al 2012 e ricavati dalla banca dati del Ministero dell’Economia, che costituisce la fonte principale del rapporto. Il rapporto non contiene né un’analisi economica sugli effetti dei processi di privatizzazione nel settore dei servizi pubblici locali, né uno studio sulla qualità dei servizi offerti dalle partecipate locali, né un approfondimento sul se, sul come e sul perché le attuali gestioni dei servizi pubblici locali a rilevanza economica – acqua, luce, gas, rifiuti, trasporto pubblico locale – producano perdite. A ben vedere, il documento Cottarelli, oltre a presentare insufficienze sul piano dell’analisi, appare basato sul pregiudizio che il privato sia sempre e comunque più efficiente del pubblico, in coerenza con il mainstream liberista.
Non stupisce, dunque, che la conclusione del documento sia quella ampiamente riportata dalla stampa: ridurre le partecipate locali dalle attuali 8.000 a 1.000. L’idea è che per evitare gli sprechi nella spesa pubblica locale anziché “efficientare” le partecipate esistenti occorra privatizzare e tenere all’interno del perimetro della pubblica amministrazione soltanto i servizi che non possono essere forniti dai privati. A conferma di ciò basti pensare che, secondo Cottarelli, il criterio che dovrebbe guidarci è esclusivamente il seguente: «Potrebbe l’attività essere svolta dal privato?». Salvo precisare in nota, qualora a qualcuno non fosse chiaro, che «per privato si intende qui la proprietà da parte di soggetti privati e non la proprietà in forma privatistica da parte di un soggetto pubblico». Non società solo formalmente private a totale capitale pubblico, ma privato «vero».
Peccato che Cottarelli cada subito in contraddizione: non si comprende, infatti, in che modo la riduzione delle remunerazioni per gli amministratori di aziende partecipate possa indurre un efficientamento dal momento che nessun manager di spessore sarebbe disponibile ad affrontare maggiori responsabilità personali e patrimoniali a fronte di uno stipendio inferiore a quello pagato dal privato. Tale ragionamento ci porta a evidenziare l’ulteriore contraddizione del documento Cottarelli secondo il quale la principale riduzione dei costi di amministrazione deriverebbe dalla cessione delle partecipate. È come se gli utenti dei servizi privatizzati, cioè famiglie e imprese, non dovessero più pagare in bolletta il costo della remunerazione degli amministratori che, tra l’altro, in una gestione privatistica sarebbe sicuramente più alto. A ciò si aggiunga che tali ragionamenti intorno ai costi degli amministratori sembrano fondati sui dati di quelle partecipate locali che hanno una struttura organizzativa “patologica”, con un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti. Ma sulla necessità di liquidare tali partecipate non si può che concordare.
Insomma, l’impostazione generale del documento del Commissario Straordinario per la revisione della spesa sembra avere un unico obiettivo: rilanciare, anche nel settore dei servizi pubblici locali, la ricetta seguita in Italia dal 1991 al 1995 quando, in una situazione di crisi finanziaria e di pressione dei mercati internazionali, l’Italia privatizzò pressoché tutti i servizi pubblici di livello statale con la promessa che il ricavato sarebbe andato a ridurre il debito pubblico.
D’altra parte come ha chiarito di recente Piero Giarda «nei quattro anni dal 2008 al 2012, con un tasso di crescita risultato inferiore al tasso d’inflazione, la spesa totale al netto degli interessi in termini reali si è ridotta del 3,8 per cento, la spesa per consumi pubblici del 7,7 per cento e la spesa in conto capitale del 24,7 per cento». Insomma, per quanto i numerosi tagli lineari e l’austerità degli ultimi anni non abbiano migliorato la situazione, si intende ancora procedere con le privatizzazioni. E non essendoci più nulla da vendere a livello statale, se non le Poste S.p.a. e qualche residua quota di Enel ed Eni, è necessario privatizzare le partecipate locali.
La ricetta per affrontare la crisi è sempre la stessa: tagliare la spesa pubblica sulla base dell’urgenza del momento, sotto la pressione dei mercati e dello spread per ottenere effetti immediati e senza guardare al medio-lungo periodo. Con l’aggravante che, a differenza dei servizi pubblici di livello statale, quelli locali incidono direttamente sia sulla qualità della vita dei cittadini sia sui bilanci delle famiglie e delle imprese già fortemente in sofferenza. Pertanto, nel settore dei servizi pubblici locali il cosiddetto «merito allocativo» riveste un’importanza fondamentale.
A tutto ciò si aggiunge che la privatizzazione dei servizi pubblici locali mediante vendita a soggetti privati o mediante la quotazione in borsa degli attuali gestori comporta numerosi problemi sia dal punto di vista economico, sia da quello giuridico e politico.
Dal punto di vista economico, si è già tentato di affrontare la questione della privatizzazione di settori che si trovano in condizioni di monopolio naturale introducendo l’idea che la libera concorrenza vada realizzata mediante cicliche gare per l’affidamento dei servizi. Per questo, si è parlato in questi anni di concorrenza per il mercato anziché di concorrenza nel mercato. Ma a tutt’oggi non si riesce a risolvere il problema centrale che è quello del trasferimento di potenziali rendite da monopolio dal settore pubblico a quello privato. Sul tema appare insufficiente anche il documento Cottarelli che si limita a qualche accenno all’introduzione «del criterio del costo standard come base di gara e del subsidy cap come sistema per la determinazione dell’evoluzione nel tempo del corrispettivo per il servizio pubblico».
Dal punto vista giuridico, poi, la questione si è dimostrata ancora più ostica dal momento che sganciare i servizi pubblici locali dalla pubblica amministrazione di cui costituivano, da circa un secolo, un vero e proprio braccio organizzato in forma aziendale, si è dimostrata operazione più difficile del previsto. La moltiplicazione delle società pubbliche non solo è una diretta conseguenza delle riforme degli ultimi vent’anni, ma è una prova delle oggettive difficoltà di privatizzazione del settore e dei numerosi errori commessi in passato.
E veniamo al problema politico. Se le privatizzazioni dei servizi pubblici di livello statale sono state giustificate con la necessità di abbassare il debito pubblico statale, non altrettanto può essere sostenuto per le partecipate locali, la cui vendita andrebbe a impattare sui bilanci degli enti locali e solo indirettamente sulla finanza statale. Sia chiaro che nessuno intende difendere carrozzoni inutili e dispendiosi o sprechi di denaro pubblico, per cui ben venga la liquidazione di quelle oltre mille società che esistono solo sulla carta e ben venga la riduzione dei posti nei consigli d’amministrazione, ben vengano alcuni dei provvedimenti meritoriamente individuati dal documento Cottarelli. Ma deve essere altrettanto chiaro che il settore dei servizi pubblici locali va trattato con profonda attenzione alla qualità della spesa e al «merito allocativo» poiché le conseguenze di un’indiscriminata privatizzazione potrebbero incidere pesantemente sui bilanci familiari e potrebbe determinare un ulteriore complessivo impoverimento del Paese.
di Sergio Marotta
www.economiaepolitica.it, 20 settembre 2014
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Ucraina, summit a Parigi: Meloni frena sull’invio di truppe. E Scholz: “Sbagliato parlare di militari Ue sul terreno”. Starmer: “Per la pace vitali le garanzie Usa”
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La Paz, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - Almeno 30 persone sono morte a causa di un incidente che ha coinvolto un autobus passeggeri, precipitato in un burrone profondo 800 metri nella città di Yocalla, nel sud della Bolivia. Lo ha riferito la polizia locale.
Tel Aviv, 17 feb. (Adnkronos) - Secondo quanto riportato dall'emittente statale israeliana Kan, citando diverse fonti, il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, non fa più parte del team incaricato delle trattative per la liberazione degli ostaggi. Fonti a conoscenza dei dettagli affermano che Bar potrebbe unirsi a una delegazione in futuro se si svolgeranno i negoziati sulla fase due.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Prosegue la protesta di Azione alla Camera sul decreto Milleproroghe: il capogruppo Matteo Richetti e la vicecapogruppo Elena Bonetti lasciano i lavori in corso nelle commissioni congiunte Affari Costituzionali e Bilancio. “Dopo il tempo sprecato dal governo nella discussione al Senato alla ricerca di una composizione delle divisioni interne, il testo del decreto è stato trasferito alla Camera solo questa mattina e approderà in Aula nella giornata domani. Alle Commissioni riunite – dichiarano Richetti e Bonetti – non restano che poche ore di esame notturno, una scelta che rende inutile ogni confronto di merito sulle misure contenute nel provvedimento e offende profondamente la funzione parlamentare e la dignità dei deputati membri. Se il governo intende ridurci a figuranti, abbia almeno la decenza di assumersene la responsabilità davanti al Paese. Noi non li aiuteremo”. Azione aveva già espresso nella mattinata la propria contrarietà al ripetuto ricorso alla fiducia, rendendo noto di non aver presentato, per questa ragione, emendamenti al decreto Milleproroghe.
Beirut, 17 feb. (Adnkronos) - Il governo libanese ha annunciato di aver approvato una risoluzione secondo cui soltanto lo Stato potrà possedere armi. La risoluzione chiede di fatto il disarmo di Hezbollah e include l'impegno a rispettare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Ha ribadito le perplessità sul formato del vertice di Parigi, sull'invio di truppe europee in Ucraina e la necessità di percorrere strade che prevedano il coinvolgimento degli Stati Uniti. Queste le linee, a quanto si apprende, dell'intervento della premier Giorgia Meloni oggi al summit a Parigi convocato da Emmanuel Macron alla presenza del britannico Keir Starmer, del premier olandese, Dick Schoof, del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del capo del governo polacco Donald Tusk e del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. All'Eliseo anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte e i vertici Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen.
Meloni, a quanto si apprende, ha sottolineato di aver voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia, ma di avere espresso le sue perplessità riguardo un formato che, a suo giudizio, esclude molti Paesi, a partire da quelle più esposti al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare in una fase storica come questa. Anche perché, avrebbe rimarcato la premier, la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti.
Per l'Italia le questioni centrali rimangono le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, perché senza queste ogni negoziato rischia di fallire. Quindi Meloni avrebbe rimarcato l'utilità di un confronto tra le varie ipotesi in campo, osservando come quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appaia come la più complessa e forse la meno efficace. Una strada su cui l'Italia avrebbe mostrato le sue perplessità al tavolo.
Secondo Meloni, a quanto viene riferito, andrebbero esplorate altre strade che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana. La premier avrebbe definito una sferzata sul ruolo dell'Europa quella lanciata dall'amministrazione Usa ma ricordando che prima di questa analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee. È una sfida, avrebbe quindi sottolineato, per essere più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a 360 gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo.
Secondo la presidente del Consiglio sono i cittadini europei a chiederlo: non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi.
Meloni avrebbe quindi rimarcato come il formato del summit all'Eliseo non vada considerato come un formato anti-Trump. Tutt’altro. Gli Stati Uniti lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte, la sollecitazione della premier italiana. Meloni infine, sempre a quanto si apprende, avrebbe manifestato condivisione per il senso della parole del Vice Presidente degli Stati Uniti Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.
Parigi, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - "La Russia minaccia tutta l'Europa". Lo ha detto la premier danese Mette Frederiksen dopo i colloqui di emergenza a Parigi sul cambiamento di politica degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina riguarda i "sogni imperialisti di Mosca, di costruire una Russia più forte e più grande, e non credo che si fermeranno in Ucraina", ha detto ai giornalisti, mettendo in guardia gli Stati Uniti dai tentativi di concordare un cessate il fuoco "rapido" che darebbe alla Russia la possibilità di "mobilitarsi di nuovo, attaccare l'Ucraina o un altro paese in Europa".
Parigi, 17 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Parigi abbiamo ribadito che l'Ucraina merita la pace attraverso la forza. Una pace rispettosa della sua indipendenza, sovranità, integrità territoriale, con forti garanzie di sicurezza. L'Europa si fa carico della sua intera quota di assistenza militare all'Ucraina. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un rafforzamento della difesa in Europa". Lo ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.