Oggi l’Osm – Organizzazione Mondiale della Sanità – informa che se non si rafforzano le misure di controllo entro novembre ci saranno oltre 20.000 ammalati di ebola in Africa Occidentale (9.939 casi in Liberia, 5.925 in Guinea e 5.063 in Sierra Leone). Il virus sta scappando. O forse è già scappato: diversi modelli, da qualche settimana, indicano una via di non ritorno a fine settembre, con una esplosione attesa per dicembre a 100.000 casi in Africa, e i primi più probabili nel Regno Unito e in Usa. Come ormai tutti sanno ebola produce una febbre emorragica che generalmente porta alla morte, non esiste ancora un vaccino, i malati sono curati per lo più con una assistenza di supporto…di massima per aiutarli a cavarsela da soli. Non si trasmette per via aerea ma per contatto diretto con chi ha già chiari sintomi della malattia, infatti il periodo di incubazione non è problematico. Di massima, chi si occupa di rischio e di crisi come Itstime, non considera ebola di rischio massimo per lo sviluppo di una pandemia globale né lo strumento più adeguato per un eventuale “contagio doloso”. Ma è giusto che faccia riflettere e si abbia paura.
Una pandemia è assai temuta e considerata probabile nel prossimo futuro. Di “qualche virus”.
Il virus dell’influenza spagnola fece una cinquantina di milioni di morti tra il 1918 e il 1920. Alcune prove di possibili ritorni le abbiamo avute con influenze suine e aviarie negli anni più recenti, ma tutte controllate: medicinali e tecnologie aiutano.
Ma la capacità di adattamento dei virus insieme ai caratteri delle società globali lasciano pensare che prima o poi si debba affrontare nuovamente il fenomeno. I virus si adattano ai medicinali che li combattono e agli ospiti che li mantengono e li veicolano. Le nostre società, caratterizzate da elevata mobilità (basta pensare ai voli low cost) rendono impossibile confinare il contagio.
Da questo punto di vista ebola aiuta: non si trasmette così facilmente…ma.
Ma…appunto ci chiede di pensare e condividere il modo con cui combattere questi fenomeni. Le vie repressive di contenimento sono sia eticamente non correte sia di difficile attuazione: non fanno altro che suggerire di nascondere i cadaveri! Al contrario il virus si combatte, oltre che con l’ovvio, aiuto sanitario, con la fiducia tra cittadini – soprattutto non ancora ammalati – e istituzioni. E con un adeguata informazione. Le due cose vanno insieme.
L’adeguata informazione: ogni epidemia o pandemia si deve combattere prima che si manifesti! Quando vomito è sto troppo male…ormai è tardi e, in molti casi, ho già contaminato altri. Ma è proprio dell’uomo pensare che…“quello che mi accade non è il virus, è un mal di pancia che domani passa”. La prevenzione sanitaria sempre mostra come ogni informazione data prima (preventiva) sia in genere percepita come una minaccia, è dunque si risponda negandola, dimenticandola, allontanandola da sé fino a quando non è ormai tardi.
Superato tale scoglio, che è culturale, entra in gioco la fiducia nei confronti delle istituzioni, che fanno la prevenzione e chiedono di autodenunciarsi. Qui entrano in gioco tanti fattori che, se applicati al contesto africano (ma non sarebbe dissimile in tanta Europa), fanno capire perché la gente spesso si guardi bene da dire a sanitari o poliziotti del proprio Paese di essere ammalato.
Senza dunque una diffusione della consapevolezza della prevenzione e la capacità di vivere inevitabilmente coi rischi, accompagnata dalla fiducia tra cittadini e istituzioni…i virus l’avranno facile.