Attacco a tenaglia alle multinazionali che tentano di aggirare il pagamento delle tasse. A pochi giorni dal via libera dei Paesi del G20 al piano contro evasione ed elusione fiscaleil Tesoro americano con il plauso del presidente Barack Obama ha annunciato nuove norme che renderanno più difficile per le multinazionali americane dribblare il fisco spostando la sede all’estero. Nel mirino della Casa Bianca c’è la cosiddetta tax inversion, cioè la possibilità, per le società Usa che si fondono con un’azienda straniera, di trasferirsi nel Paese della “preda”: è sufficiente che quest’ultima continui a mantenere almeno il 20% del capitale della nuova entità. Ma l’opzione, secondo Washington, apre la strada ad abusi. “Queste transazioni erodono la base fiscale degli Usa, accollando in modo ingiusto un carico maggiore sugli altri contribuenti, incluse le piccole imprese”, accusa una nota dell’Us Department of Treasury. Una descrizione che si applica bene anche a vicende italiane come le “fughe” a Londra della futura Fiat Chrysler Automobiles, frutto della fusione tra Lingotto e il gruppo di Detroite di Lottomatica, fresca di acquisizione della statunitense International game technology. Per quanto riguarda Fiat, all’epoca dell’annuncio l’allora direttore dell’agenzia delle Entrate Attilio Befera garantì comunque che l’azienda avrebbe dovuto pagare una “exit tax” del 27% sui beni (come marchi e brevetti) portati all’estero. Peccato che il decreto del 2 agosto 2013 sulla disciplina del trasferimento all’estero della residenza fiscale preveda la possibilità di chiedere la “sospensione” del pagamento fino al momento del realizzo, cioè la cessione effettiva dei beni. E comunque nella relazione illustrativa sul progetto di fusione il gruppo guidato da Sergio Marchionne ha scritto che le eventuali plusvalenze su cui andrebbe applicata l’aliquota saranno “largamente compensate dalla presenza di perdite fiscali”.

Tornando agli Usa, dall’inizio del 2013 sono stati siglati 13 accordi di questo tipo per un valore complessivo di 178 miliardi di dollari, e il Tesoro stima che le mancate entrate fiscali ammontino a 20 miliardi. L’ultimo caso è scoppiato poche settimane fa, quando il colosso del fast food Burger King ha annunciato di avere intenzione di comprare la canadese Tim Hortons e traslocare nell’Ontario. Dove la tassazione sulle imprese è al 26,5% contro il 35% che rappresenta l’aliquota massima negli Stati Uniti. Non per niente in Canada hanno già spostato la sede diverse società di Hollywood, come Sony Picture Imagework, e il colosso farmaceutico Valeant dopo la fusione con Biovail. Un andazzo che ha provocato una levata di scudi a Washington: all’inizio di agosto le pressioni dell’amministrazione sono state così forti da bloccare il trasferimento del colosso della distribuzione farmaceutica Walgreen verso la Svizzera, intenzione annunciata dalla multinazionale dopo l’acquisizione di Alliance Boots dall’imprenditore italiano Stefano Pessina.

Per evitare nuovi casi, ecco la mossa del segretario al Tesoro, Jack Lew. In attesa che il Congresso approvi una riforma complessiva della tassazione sulle corporation, che dovrà affrontare il problema alla radice rendendo più complesso lo spostamento della sede, il dipartimento ha varato un pacchetto di regole valide da subito. Per prima cosa le compagnie non potranno più far ricorso ai finti prestiti alla nuova “società madre” spesso utilizzati per rimpatriare i profitti realizzati all’estero evitando le tasse sui dividendi. Al bando anche le strategie per separare giuridicamente le unità operative straniere non facendole più risultare controllate da un soggetto statunitense. Il Tesoro ha anche fissato paletti più stringenti sulla percentuale massima di azioni che una multinazionale americana può detenere in una società nata dalla tax inversion continuando ad aver diritto al trattamento fiscale privilegiato previsto dall’Internal revenue service, l’agenzia federale che si occupa delle tasse. Il presidente Obama, che in agosto aveva definito “disertori” le aziende che ricorrono a questi espedienti per mascherare i profitti agli occhi del fisco ha subito dato la propria benedizione. Commentando che ”l’America fa meglio quando il duro lavoro paga, la responsabilità è premiata e tutti giocano secondo le stesse regole”.

 

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