Questa è la vera “generazione Erasmus”. Secondo un recente studio della Commissione europea sull’impatto dell’Erasmus sui giovani, il 27% degli studenti che hanno studiato o fatto un’esperienza di stage all’estero ha incontrato il proprio partner fisso durante questo periodo e dal 1987 ad oggi sono nati circa un milione di bambini, figli di coppie Erasmus.
Il “risultato” di queste unioni, formatesi in un periodo della vita indimenticabile – l’Erasmus appunto – sono bambini e bambini che, forse solo loro, si potranno definire “europei” a tutti gli effetti. Che nazionalità avrà il figlio di un italiano e di una belga? Italiana? Belga? Entrambe? Nessuna? Forse nessuna di queste, bensì un’appartenenza diversa che, a ben guardare, non si può nemmeno definire nazionalità: un’appartenenza europea.
Ecco che mentre i capi di Stato fanno summit, la crisi dell’euro continua e la Bce taglia tassi, una nuova generazione di europei sta piano piano prendendo vita, nasce, cresce e, appunto, si moltiplica. E forse sarà proprio questa generazione a riuscire a fare quello che la politica, le istituzioni, i fondi strutturali, il mercato unico e gli europei di calcio non sono riusciti a fare in sessant’anni: creare un’Europa unita, forte e solidale.
Forse solo questa generazione Erasmus sarà in grado di fare dell’Unione europea, oggi un’accozzaglia di interessi diversi e tanti bei propositi, una realtà sociale veramente unita, perché questi uomini e donne non solo non si riconosceranno più in un’unica bandiera ma non riusciranno più a disprezzare le altre.
Un milione di bambini costituisce forse la conferma a quanto si dice ogni tanto anche a Bruxelles, ovvero che l’Erasmus sia il progetto europeo più riuscito di sempre. Insomma che dire, cari Erasmus, andate e moltiplicatevi.