L'esistenza dell'appunto è sempre stata negata, ma adesso il patto datato 2004 tra i Servizi, allora guidati da Mario Mori, e l'amministrazione penitenziaria è in possesso dei pm palermitani ed è inserito nel fascicolo aperto dopo le ammissioni del pentito Flamia. Allegato anche un elenco di una decina di detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali che in quel momento si trovavano quasi tutti al 41 bis
Sono sei pagine, nessuna firma, nessuna intestazione e solo la dicitura “riservato” stampata in cima al primo foglio: è fatto così il Protocollo Farfalla, l’accordo segreto stipulato tra i Servizi e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria per gestire le informazioni provenienti dai penitenziari di massima sicurezza. Il documento, insieme ad altri allegati che recano la generica intestazione di “appunto”, è stato acquisito dai pm della procura di Palermo che indagano sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra e inserito nel fascicolo aperto dopo le ammissioni del pentito Sergio Flamia. L’uomo d’onore di Bagheria, che per anni ha avuto rapporti con i servizi, ha ammesso di avere ricevuto le visite in carcere di importanti agenti dell’intelligence anche dopo aver deciso di collaborare con la magistratura.
I pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene hanno quindi aperto un nuovo fascicolo d’indagine a carico d’ignoti per omissione di atti d’ufficio: al vaglio, oltre alla natura dei colloqui tra gli 007 e Flamia, ci sono soprattutto i rapporti borderline tra l’intelligence e i detenuti in regime di 41 bis. Rapporti regolati da un accordo tra Dap e Sisde, che lasciano traccia in quel documento di sei pagine senza intestazione e firma. Appunto datato maggio 2004 (quando il direttore del Sisde era Mario Mori mentre Giovanni Tinebra dirigeva il Dap), in cui per la prima volta si mette nero su bianco “l’attività d’intelligence convenzionalmente denominata Farfalla”. Un nome in codice che i servizi prendono probabilmente in prestito da Papillon, il romanzo di Herni Charriére ambientato nella prigione dell’Isola del Diavolo: riferimento perfetto per l’operazione che punta a monopolizzare il flusso informativo proveniente dai penitenziari di massima sicurezza.
Il nodo cruciale del Protocollo Farfalla è tutto qui: in pratica, qualsiasi notizia proveniente dai detenuti in regime di 41 bis, sarebbe stata girata dall’amministrazione penitenziaria direttamente agli 007, senza informare i pm competenti, come invece previsto dalla legge. Ma c’è di più: nella documentazione acquisita dai pm è allegato persino un elenco di una decina di detenuti appartenenti a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita, che sono in quel momento quasi tutti in regime di 41 bis. È su quei detenuti che i servizi nel maggio 2004 intendono estendere l’operazione Farfalla, già probabilmente pianificata e messa in azione in precedenza: stando ad alcuni appunti, i rapporti borderline tra Sisde e carceri risalirebbero addirittura all’inizio del 2003, e quindi già prima della stesura formale del documento.
Nel Protocollo si fa esplicitamente cenno alla clausola di “esclusività e riservatezza” di ogni dato emerso dall’operazione: le informazioni rivelate dai principali boss di Cosa Nostra, camorra e ‘ndrangheta sarebbero finite all’intelligence e non invece all’autorità giudiziaria. È per un caso molto simile che a Roma sono finiti sotto processo il direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano e il magistrato Salvatore Leopardi. Tra il 2005 e il 2006 il camorrista Antonio Cutolo, detenuto nel carcere di Sulmona, manifesta l’intenzione di collaborare, raccontando anche diverse vicende inedite sulla sua cosca: Siciliano, che dirigeva il penitenziario abruzzese, non avrebbe però avvertito l’autorità giudiziaria, limitandosi a girare quei verbali a Leopardi, all’epoca capo del servizio ispettivo del Dap. Secondo l’accusa neanche Leopardi avrebbe avvertito la competente Procura di Napoli, riferendo invece i contenuti di quei verbali al colonnello Pasquale Angelosanto, in forza al Sisde: per questo motivo i due sono finiti a processo per falso e omissione.
Secondo la Commissione Antimafia nel 2007 vengono emanate nuove norme per regolamentare i rapporti tra Dap e Servizi: le operazioni borderline degli 007 nelle carceri sarebbero però continuate fino ad oggi. È per questo che i pm palermitani continuano ad indagare sulla reale identità di Alberto Lorusso, l’uomo cimice che tra maggio e novembre 2013 riesce ad accattivarsi la fiducia di Totò Riina, raccogliendo il racconto dell’orrore del capomafia corleonese, denso di rivelazioni e rivendicazioni. A catalizzare l’attenzione dei pm è la profonda consapevolezza dimostrata da Lorusso su fatti di cronaca giudiziaria (come lo stesso Protocollo Farfalla), la conoscenza d’informazioni note soltanto agli stessi pm della procura e la spiccata capacità nell’utilizzo dei codici cifrati: caratteristiche che per un detenuto in regime di 41 bis sono più uniche che rare.