All’interno della società piramidale brasiliana, solo il vertice, formato da imprenditori rampanti e professionisti, si sente oggi pienamente rappresentato da Aécio Neves, presidente dei Social Democratici, noto conservatore.
La classe media e il proletariato urbano, morsi dall’indebitamento in tempi di recessione stenta a identificarsi nella Presidente uscente Dilma Rousseff, o nella candidata socialista Marina Silva. Mancano pochi giorni al primo turno delle elezioni presidenziali del 5 ottobre.
I termini politici, in Brasile, sono facilmente equivocabili, se si cerca di interpretarli, seguendo i parametri nostrani; Psdb (Partido da Social Democracia Brasileira) di Neves, partito di tradizione conservatrice non ha niente a che vedere con una formazione di centrosinistra. Psb (Partido Socialista Brasileiro) è di orientamento centrista. Il suo defunto leader, Eduardo Campos, lo aveva arricchito nel decennio passato di connotati sociali, migliorando il livello ospedaliero, e la ricerca sulle cellule staminali, oggi ai vertici dell’America Latina.
La sua recente scomparsa lascia orfana la classe media di un basilare punto di riferimento; Marina Silva De Lima è nativa dell’Amazzonia, un’ambientalista convinta, sostenitrice di battaglie per la difesa della sua terra natia, sottoposta a continui disboscamenti e trivellazioni. Il suo limite, agli occhi dei potenziali elettori, potrebbe essere proprio questo; essere identificata più come un’eroina “verde”, che una papabile Presidente in grado di risolvere i gravi squilibri sociali, e l’inesorabile indebitamento privato che affligge le classi medio-basse, causa l’incontrollato liberismo economico.
E veniamo al partito di governo, Pt (Partido dos Trabalhadores) il cui presidente Lula è stato promotore della rivoluzione sociale che ha portato migliori condizioni di vita a tanti diseredati, e artefice del boom industriale brasiliano.
Malgrado ciò, non si può classificare il Pt come un partito di estrema sinistra perché la lunga permanenza alla guida del Paese ha costretto il suo leader a mediare con le classi alte degli imprenditori e dei proprietari terrieri. Soprattutto oggi, che costoro, sotto il governo della sua erede politica, Dilma Rousseff, hanno preso il sopravvento nella gestione dei servizi, indebolendo quelli pubblici, quali scuole e ospedali, e favorendo cliniche e istituti privati, il cui accesso è limitato da un piano finanziario che solo loro possono permettersi. L’assistenzialismo a pioggia degli anni passati ha causato un aumento dell’indebitamento pubblico e un’ampia corruzione nei municipi federali, che questa mole di denaro dovevano amministrare. Senza riuscire però a emancipare la classe lavoratrice, che si trova oggi a fronteggiare un deterioramento dell’assistenza sanitaria, e un rincaro del costo della vita, simboleggiato dalle tariffe dei trasporti, che è circa il doppio, rispetto agli aumenti salariali.
Il problema brasiliano maggiore è quello del razzismo: secondo il rapporto Onu del 12/09/2014 è “strutturale e istituzionalizzato, permeando la vita sociale della nazione”. Basta citare la violenta repressione poliziesca nelle favelas, dove la recente uccisione del quindicenne nero Lucas Lima, al contrario dell’omicidio di Ferguson negli Stati Uniti è passata quasi inosservata anche dalla stampa nazionale; e l’apartheid vigente in megalopoli come Salvador, dove la comunità nera e meticcia, che costituisce l’85% della popolazione rimane confinata nelle sudicie periferie, mentre nel salotto buono del centro si vedono solo bianchi usufruire dei costosi beni di consumo. O sulle spiagge di Rio, dove neri e mulatti sono quasi spariti dallo stereotipo classico. Eppure, sono proprio loro che costituiscono il 55% dell’elettorato brasiliano. Un elettorato invisibile alla ricerca dell’identità perduta.
P.s: nei sondaggi pre-elettorali, la sorpresa viene proprio dalla esordiente Marina Silva, che tallona la presidente uscente Dilma Rousseff: 30% contro 37%; l’Amazzone del Psb, essendo l’unica candidata non bianca, inizia a intercettare l’elettorato afro-brasilano.
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