Chissà perché, l’opinione comune indulge spesso nell’errore di considerare il poetico come sinonimo di elegiaco, sentimentale, edulcorato, quasi una sorta di più o meno superfluo ornamento decorativo dell’esistenza. Eppure secoli di produzione letteraria, o anche semplicemente i percorsi biografici spesso e volentieri travagliati dei singoli autori, sono lì a testimoniarci l’esatto contrario: la poesia come irruzione di una ferita esistenziale, di uno squarcio drammatico e magnifico su di sé e sul mondo, in cui creatività e disadattamento, splendore e angoscia danno vita ad un misterioso e perturbante miscuglio.
Nulla di più pertinente, dunque, dell’identificare nel poeta un “estantigua”, versione ispanica del latino “hostis antiquus”, tipica vox media che designa al tempo stesso un nemico ed un ospite di lunga data. Una presenza sfuggente ma pervasiva, inquietante ma visionaria, esattamente come quella di un fantasma (estantigua, appunto) e, nel caso specifico del documentario presentato domenica scorsa nell’ambito della rassegna Pordenonelegge, il fantasma del poeta Leopoldo Marìa Panero, spentosi lo scorso 2 marzo, proprio appena la giovane regista Irada Pallanca sbarcava sull’isola di Gran Canaria per realizzare l’opera cinematografica a lui dedicata.
Estantigua ripercorre in 36 minuti, attraverso la presenza e la voce narrante del poeta Ianus Pravo, testimone e compartecipe dell’avventura letteraria ed umana di Panero, i fotogrammi salienti di una vita solcata dalle droghe, dal tentativo di suicidio, dai 17 anni di ricovero in un ospedale psichiatrico ma soprattutto da quelle intuizioni poetiche affidate ai versi e alla parola scritta. Una sfida cinematografica impervia ed ambiziosa, quella intrapresa dalla Pallanca, poiché, dalla colomba pugnalata di Proust ai fiori del male di Baudelaire passando per il male di vivere montaliano, la “parola scavata nell’abisso” di Ungaretti ed innumerevoli altre analoghe suggestioni letterarie, l’archetipo del poeta sofferente o alienato appare talmente consolidato da rischiare facilmente di affievolirsi in un prevedibile cliché. Al contrario Estantigua persegue e raggiunge un delicato e fragile equilibrio, evitando di sprofondare nel facile registro della “voluptas dolendi” o nel mito platonico della “divina follia” del poeta senza però rinunciare ad evocare, con un linguaggio visivo nitido e contemporaneo, quegli ingorghi inestricabili di vita e dolore da cui è scaturita l’opera di Panero, irremovibilmente convinto che “solo chi è morto sopravvive alla bellezza”.
Rigore, chiarezza e capacità di sintesi, abbinate ad una già disinvolta padronanza del mezzo audiovisivo, consentono alla regista di congegnare un’atmosfera onirica ed evocativa, ma al tempo stesso non ingenuamente enfatica né autocompiaciuta: indipendentemente dal fatto che lo spettatore apprezzi o meno l’opera di Panero, gli sarà facile rendersi conto di come attraverso la sua figura il documentario non intenda riproporre il solito binomio trito e ritrito di creatività e follia (su cui ormai, con ben altre armi scientifiche e statistiche, perfino neuroscienziati e psicologi cognitivi da tempo si interrogano), bensì semmai sollecitare una più interessante riflessione sul lato ispido, ruvido e poco conciliante della poesia, ovvero sul modo violento e destabilizzante in cui certi pensieri, immagini o rivelazioni possano irrompere nella quotidianità di un essere umano, sull’interminabile dissidio tra infanzia ed età adulta che strattona brutalmente le nostre vite, sulle mille crepe che continuamente si insinuano nella fragilità di ognuno e su quel disperato tentativo di produzione di senso che da sempre contraddistingue la condizione umana.
Irada Pallanca non è nuova alla frequentazione di temi letterari di una certa complessità: il suo precedente cortometraggio, Banned, era ispirato ad un testo di Pasolini e fin da allora evidenziava un’indubbia originalità ed eleganza nella manipolazione delle immagini. Estantigua, dopo un apprezzato esordio in giugno al Festival Internazionale di Las Palmas e due successive proiezioni a Durango (Messico) e, per l’appunto, a Pordenonelegge, proseguirà la sua lotta darwiniana per la sopravvivenza con una prossima presentazione parigina a Pigalle, il 22 novembre. “Il fenomeno a cui sto assistendo è un esodo sempre più massivo dei miei colleghi all’estero -racconta Irada- verso la Francia in particolare. Artè sembra essere in questo momento l’unico interlocutore possibile per documentaristi e registi di fiction che hanno un buon soggetto da produrre”.
Estantigua Trailer from NOoN© Films&Media Productions on Vimeo.