Renzi non inventa nulla: segue (in peggio) la (contro)riforma tedesca. Restringe i diritti e le tutele. Apparentemente Renzi è il primo attore di questa “moderna e innovativa” operazione ma i veri protagonisti sono la Germania e l’Unione Europea dell’austerità a senso unico. La Germania è il mandante, la UE e la BCE di Mario Draghi sono i registi, Renzi è l’esecutore.
Schierandosi in maniera autoritaria e ultra decisionista contro il mondo del lavoro, Renzi prende atto che non ha ottenuto nessuna flessibilità dalla UE. E non fa altro che ubbidire agli ordini che provengono da un’Europa che impone le controriforme strutturali sul lavoro e il welfare con l’illusione di dare maggiore competitività al sistema europeo. Ma la ricetta della “riforma del mercato del lavoro” è suicida come tutta la politica europea di folle austerità.
Per rilanciare l’Europa occorre rilanciare la domanda, cioè i redditi da lavoro. Tutto il contrario di quello che propongono Germania, UE, BCE e Renzi. Solo rilanciando la domanda si potranno rilanciare investimenti pubblici e privati, e con questi l’occupazione e il benessere. Senza domanda niente investimenti; e senza investimenti né ripresa né occupazione. Renzi dice che grazie alle riforme la UE sarà più comprensiva e flessibile.
Ma anche qui si sbaglia: il sacrificio dell’articolo 18 (che impedisce il licenziamento arbitrario senza giusta causa) non servirà certo a ottenere più sconti da parte dell’inflessibile governo democristiano-socialista di Merkel-Gabriel. I trattati europei sono rigidi. Per la Germania e l’Unione Europea germanizzata le uniche cose che contano sono 1) che il costo del lavoro venga ridotto per diminuire le importazioni e aumentare le esportazioni e sanare la bilancia commerciale, e 2) che la spesa sociale venga ridotta: così, con meno spesa pubblica e una bilancia commerciale in equilibrio, l’Italia impoverita potrà finalmente pagare i debiti alle banche tedesche e francesi.
Il sacrificio dell’articolo 18 però è simbolico e non serve a pagare i debiti: è solo utile a Renzi per spianare il PD ed eliminare i residui della vecchia “sinistra burocratica” di Bersani e D’Alema, e di chi cerca ancora di difendere in qualche modo il lavoro. E serve a rinsaldare ancora di più la sua alleanza con Berlusconi, con i politici e l’elettorato di centrodestra. Abbiamo solo una (tenue) speranza: che il PD si spacchi e che contro questo furioso attacco possano essere finalmente gettati i semi per una nuova formazione di sinistra che difenda davvero il lavoro, sia quello dipendente che autonomo.