In un memorabile quarto d’ora nel corso di Piazzapulita – ah il dono della sintesi – il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, ha fatto a pezzettini la riforma della giustizia civile di Renzi (quei cinque milioni di contenziosi che diventerebbero due e mezzo con un colpo di bacchetta magica), ha liquidato come assai poco dignitosa la possibile elezione dell’indagato Bruno al Consulta e, infine, con un certo fegato, ha posto la pietra tombale sulla delicatissima questione delle intercettazioni che non hanno attinenza con le indagini, tutto ciò che di sensibile riguarda la nostra privacy e che ci ritroviamo regolarmente sui giornali. Nella storia di questi anni, Robledo è il primo pm che parla in modo estremamente chiaro: quella riforma non si può fare. Materialmente, le carte – ha detto – passano per un innumerevole numero di mani, per cui non c’è nessuna garanzia che quegli atti possano scomparire per sempre. Chiuso l’argomento, dunque. Una terribile ammissione di debolezza? Probabilmente sì. Un arretramento culturale che toglie speranza alla possibilità che un Paese possa diventare più civile? Forse anche. Ma almeno, vivaddio, un atto di definitiva chiarezza. Adesso, semmai, i giochi possono riaprirsi.
Era immaginabile che qualcuno, nello studio di Piazzapulita, drizzasse le orecchie e la parte è toccata a Claudio Velardi, il quale invece di ringraziare Robledo per il terribile contributo di chiarezza e da lì semmai ripartire, se l’è menata con il solito dislivello tra magistratura e politica, auspicando che quest’ultima riesca a riprendersi lo spazio perduto (nella maniera che conosciamo). Tra l’altro la contrapposizione di un arnese non proprio nuovissimo come Velardi e uno come Robledo ha assunto tratti surreali: quello credeva di parlare con il solito giudice politicizzato della Procura di Milano, secondo il vecchio schema, senza neppure ricordare che proprio Robledo è il recentissimo protagonista di conflitti epocali con Bruti Liberati, capo della Procura milanese.
Alfredo Robledo si merita oppositori più intelligenti di Velardi. E se gli va ascritto il coraggio della chiarezza su una questione fondamentale come il rispetto della privacy, non può limitarsi a una terribile ammissione di resa, come ha fatto in televisione. Spiace che Formigli non lo abbia incalzato di più su questo, ma non è pensabile che lo Stato possa abdicare a uno dei principi di civiltà come la difesa della privacy dei propri cittadini.
Dunque che fare, dottor Robledo? Cominciamo da chi vuole punire le categorie (anche lei, noto, ha fatto appello alla deontologia giornalistica). Chiariamolo una volta per tutte: i giornalisti pubblicano. Eh, dice qualcuno, ma se una questione non è attinente alle indagini non dovrebbero. Ma ciò che non è attinente per il Corriere della Sera magari è molto attrattivo e attinente per Chi di Signorini e allora come la mettiamo? Impensabile dunque, dottor Robledo, chiedere uno slancio ai giornalisti, i quali, ripeto, pubblicano. Pubblicano, naturalmente, tutto ciò che diventa pubblico. Sono pagati per farlo. E pubblicherebbero, rischiando del proprio, anche se le carte non fossero pubbliche, sapendole estremamente importanti sotto il profilo sociale.
Passiamo ai voi giudici, dottor Robledo. Siete i titolari di un’indagine, dunque una condizione di enorme responsabilità. Più di un cancelliere, vero dottor Robledo, più di un avvocato di parte, o tutte queste categorie, secondo lei, sono responsabili quanto voi di una fuga di notizie? A questa stregua, anche la signora o il signore che fa le pulizie la sera negli uffici porterà la sua bella croce.
Personalmente la ringrazio, perché lei ha finalmente squarciato il velo d’ipocrisia su una questione fondamentale come quella della privacy. Lasci pure annaspare i Velardi, ma eviti anche di allargare le braccia in segno di resa. No, su questa battaglia di civiltà le persone intelligenti e responsabili sono decisamente della partita. E devono, insieme alla politica, cercare una soluzione dignitosa.