Per uno come me, adolescente negli anni ottanta, cresciuto nell’illusione che il futuro dell’Italia, quell’Italia potenza industriale, da bere, sarebbe stato radioso, il presente appare, come sappiamo, particolarmente drammatico.
Guardando alla generazione degli adolescenti di oggi, nati già nella crisi, che non hanno mai avuto nemmeno l’illusione di un futuro, penso che forse, non essendo stati illusi mai, avendo da sempre zero aspettative, ciò che verrà non potrà essere altrettanto deludente: “Siamo nella merda, cosa può succederci di peggio?”
Attraversando Roma, dal centro verso la sua periferia più estrema, sentendo le chiacchiere delle persone (girare film permette di scoprire luoghi sempre nuovi) osservo una città dove il rischio di rivolte violente da parte di comunità ormai stremate dall’incuria, dall’abbandono delle istituzioni è probabile, dove il non rispetto delle regole è l’unica possibilità che rimane alle persone per sopravvivere al degrado.
La via Tiburtina, che partendo dal cimitero Verano porta fuori Roma verso Guidonia ed oltre, è emblematica delle mutazioni della città e delle sue smisurate appendici. Partendo dal centro, incontriamo gli Studios, ex De Paolis, teatri di posa dal passato glorioso e che, grazie alla forza di volontà di un privato, al contrario di Cinecittà, riescono a sopravvivere soprattutto facendo televisione.
Di qui in poi inizia, passando per il carcere di Rebibbia, una serie infinita di Bingo e sale da giochi, stile Las Vegas, le cui insegne di notte illuminano a giorno la strada sostituendo i lampioni, che hanno colonizzato questa parte della città, abbinate a ristoranti cino-giapponesi che propongono menù da dieci euro senza limiti di portate. Poi, tra lavori di ampliamento che ricordo sin dall’adolescenza e mai terminati, si attraversano macerie di fabbriche chiuse o abbandonate, tra cui i mitici laboratori di sviluppo e stampa della pellicola Technicolor, falliti con l’avvento del digitale.
Dove invece una volta esisteva la sede centrale della Lancio, leader dei fotoromanzi, ora tra buche, fango e immondizia, alcune fabbriche abbandonate, si sono riciclate diventando studi cinematografici nei quali spesso si va a girare e si risparmia. La Lancio invece, è occupata da parecchi anni da famiglie di stranieri, africani, romeni, ma anche italiani, che quasi quotidianamente (il posto è pieno fino all’inverosimile) scatenano risse cruente, nell’indifferenza dei bambini.
Uscendo ancora di più verso i limiti della città, mi è capitato di girare in un ex manicomio, spesso utilizzato dal cinema per girare scene di ospedali, dove,ancora oggi, pazienti probabilmente non autosufficienti, con evidenti problemi psichiatrici, e rimasti li sin dai tempi della legge Basaglia, possono essere osservati in uno spazio all’aperto, vegetare o facendo gesti ripetitivi, fissando il nulla o, allungando la mano fuori dalle grate mendicando per una sigaretta.
La mattina verso le 7 ,entrare a Roma dalla Tiburtina, per centinaia di migliaia di lavoratori significa fare fino a due ore di coda, la stessa che si ricrea dalle 17 in senso contrario.
Questo viaggio tra le rovine della mia città, è ogni volta occasione per me di apprezzare ed ammirare, l’incredibile generosità di coloro che ancora oggi, riescono a sopravvivere con dignità, senza lasciarsi andare a rabbie incontrollate e che sarebbero comprensibili se pure non condivisibili. Ma quanto ancora potranno sopportare, quante promesse non mantenute potranno ancora accettare, ma soprattutto, coloro che in quei luoghi devastati sono nati oggi, e che non hanno conosciuto altre realtà, riusciranno mai ad avere sogni come quelli che noi avevamo e che la mia generazione e quelle che l’hanno preceduta gli hanno negato?