Il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, si mostra sereno e dice che, in fondo, ha vinto sette a uno. Fa riferimento ai punti che gli erano stati contestati (sette) della sua riorganizzazione del lavoro in procura. E alla critica (una) che alla fine gli è arrivata dal Consiglio giudiziario milanese. In realtà, al di là dei numeri e delle battute, la sua gestione è stata bocciata: il Consiglio giudiziario (una specie di Csm locale composto da magistrati, avvocati e professori universitari) ha votato e a maggioranza – con 11 sì contro 5 no – ha deciso che non ritiene legittima e giustificata l’Area Omogenea Expo, istituita da Bruti per seguire tutte le indagini che riguardano l’Esposizione Universale 2015, strappate ai dipartimenti della procura (sostanzialmente al dipartimento reati contro la pubblica amministrazione, quello coordinato dall’aggiunto Alfredo Robledo, in lotta contro Bruti) e affidate al coordinamento dello stesso procuratore.

Respinta la proposta del presidente della Corte d’appello Giovanni Canzio, di una “presa d’atto” del progetto organizzativo di Bruti senza alcuna censura. Respinta pure quella che intendeva ribadire i sette punti di critica al progetto del procuratore, anche per l’asserita assenza di criteri predeterminati per risolvere eventuali conflitti tra procuratori aggiunti in merito all’assegnazione di fascicoli su argomenti “di confine” tra diversi dipartimenti. È passata la proposta dell’Avvocato generale dello Stato Laura Bertolè Viale e della relatrice Nunzia Ciaravolo, che tecnicamente è una “presa d’atto con un rilievo”: sull’istituzione dell’Area Omogena Expo.

È vero che al vaglio dei voti del Consiglio giudiziario non è passata la mozione più radicale, che riprendeva tutti i sette punti critici mossi al procuratore nella seduta “dell’interlocuzione”, prima dell’estate. È vero anche che i poteri del Consiglio giudiziario non sono tali da azzerare le proposte organizzative che critica. Ma è chiaro che ieri l’Area Omogenea Expo è morta. Si è dimostrata quello che è: una supercazzola di cui nessuno aveva capito fino in fondo il senso, se non quello, appunto, di escludere Robledo dalle indagini, creando uno spazio speciale, un regime eccezionale, strappato alle normali regole di funzionamento della procura varate dallo stesso Bruti.

In teoria, il procuratore potrebbe fare finta di niente e andare avanti ugualmente, in attesa che sia il Csm a esprimersi sulla questione. Ma sarebbe davvero una forzatura. Ora ci saranno alcuni giorni in cui il Consiglio giudiziario dovrà limare le parole e scegliere gli aggettivi per comunicare la sua decisione. È probabile che vari un testo il più innocuo possibile. Resta però la decisione che non solo toglie legittimità ai criteri organizzativi di Bruti Liberati, ma rende il procuratore di fatto indebolito, se non addirittura delegittimato, davanti ai suoi aggiunti e ai suoi sostituti. In una procura mai così divisa e avvelenata dai contrasti.

Che cosa farà il procuratore? Potrà continuare a mostrarsi tranquillo, mentre attorno il clima appassisce? Il prossimo passo è la sua riconferma. Il primo quadriennio al vertice dell’ufficio è già terminato. Ora sarà la settima commissione del Consiglio superiore della magistratura, quella competente sull’organizzazione degli uffici, a decidere se riconfermare Bruti fino alla pensione, a fine dicembre 2015. Resta l’amarezza di vedere arrivata a questo punto la procura che ha saputo fare Mani pulite, l’ufficio di Francesco Saverio Borrelli, di Gerardo D’Ambrosio, di Gherardo Colombo, e la storia di un magistrato per bene come Edmondo Bruti Liberati.

Twitter: @gbarbacetto

Il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2014

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