“Bersani vuole prendersi la titolarità di questa minoranza pur nella difficoltà dei nuovi posizionamenti che si sono verificati nel partito e nel governo“. La voce circola in Transatlantico, e rimanda all’attivismo di questi giorni dell’ex segretario del Pd. Perché Pier Luigi Bersani è tornato ad essere il leader della minoranza di Largo del Nazareno. Una minoranza dilaniata che si riunisce dalla mattina alla sera per trovare “un senso a questa storia”, scherza qualcuno fra i parlamentari. Con Roberto Speranza, ex fedelissimo del segretario e protagonista della campagna elettorale delle primarie del 2012 ormai convertito al renzismo, e con Alfredo D’Attorre a pungolare la riforma del Jobs Act targata Renzi-Sacconi. Una storia, insomma, quella degli ultimi sei mesi, segnata dal protagonismo del premier-segretario che non ha lasciato scampo agli sconfitti del congresso dell’otto dicembre scorso.
Ma oggi si discute di lavoro, di Jobs Act, di articolo 18. Temi che nel corso degli ultimi cinquant’anni hanno contraddistinto la sinistra italiana. Ecco perché è sceso in campo Bersani, il rappresentante più autorevole della “ditta” ancora applauditissimo alle feste dell’Unità, “l’unico in grado di farci ragionare, di darci visibilità, e di far ragionare Matteo”. Ed è per questo che in Transatlantico dal Pd si chiedono dove sia, cosa dica, o “se verrà alla riunione della minoranza”. In Parlamento tira le fila e non solo dei bersaniani, manco fosse ancora il segretario. “E’ l’unico fra la vecchia guardia ad avere una credibilità”, spiega un suo fedelissimo. Del resto, “uno come Pier Luigi è più difficile zittirlo nel modo in cui fanno con D’Alema”. La sua forza, si lascia scappare una fonte autorevole che preferisce restare anonima, è anche “il gruppo parlamentare disegnato su misura con gli sherpa del ‘tortello magico’ (i fedelissimi Nico Stumpo, Maurizio Migliavacca, Davide Zoggia, ndr) in cui parecchi sono stati eletti per chiamata diretta senza primarie. E infatti gli riconoscono praticamente l’elezione da deputato o da senatori”.
Raccontano a ilfattoquotidiano.it che in questi giorni Pier Luigi starebbe incontrando uno per uno i rappresentanti delle varie minoranze Pd. Cuperlo, Bindi, Fioroni, Civati. E per ultimo anche Enrico Letta, il vice-segretario poi divenuto premier che lo ha accompagnato nei famosi 5o giorni in cui Bersani tentò di far nascere il governo del “cambiamento” con il M5s. Incontri non nel segno dell’antirenzismo ma per tratteggiare una roadmap da oggi alla legge di stabilità. Per l’ex segretario del Pd il Jobs Act è sì una priorità ma è collegata ai grandi temi economici e alla manovra.
Tanto per fare un esempio – ha detto l’ex segretario a margine di una iniziativa a Perugia – “noi discutiamo giustamente di allargare il sistema degli ammortizzatori ma non sappiamo ancora che legge di stabilità avremo. Quindi una cosa sensata ad esempio nelle prossime discussioni, a cominciare dalla nostra Direzione, è di discutere tutte e due le cose, della legge di stabilità e del tema del lavoro. Abbiamo davanti problemi immediati molto seri”. E la direzione del prossimo 29 settembre, quella sul Jobs Act dove la sinistra democrat dovrebbe giocare la battaglia finale sull’articolo 18, potrebbe essere l’occasione in cui “Pier Luigi” tornerà a parlare davanti al partito. “Se a differenza delle altre volte ci sarà un dibattito, proverà responsabilmente, come è nella sua corde, ad indicare le priorità da affrontare”, dicono a ilfattoquotidiano.it. Una strategia, riferiscono dal mondo renziano, che nasconderebbe il vero obiettivo della galassia bersaniana: “La presa di Largo del Nazareno”. Del resto, parola di Bersani, “Renzi governa con il mio 25 per cento. Dovrebbe avere più rispetto”.
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