Intendiamoci, non mi piace fare quello che piange perché viviamo in un paese arretrato, quello che guarda altrove e sospira, inneggiando alla fuga, sulla falsa riga di Born to run, o che avrebbe tanto tanto voluto essere nato sotto un’altra bandiera, presumibilmente, parlando di musica leggera, quella del Regno Unito o quella a stelle e strisce. Non mi piace e non lo farò. Sono nato in provincia, e vivo in un paese, questo ci dicono le cronache, che è periferico, quindi, parafrasando Roddy Doyle, sono il “negro dei negri dei negri”, ma ho anche quel pizzico di campanilismo tipicamente provinciale e periferico per farmi alzare un ghigno alla Billy Idol rispetto a certe stranezze che arrivano dal centro del mondo, da certi soffermarsi sui gomitoli di lana che si animano nell’ombelico del suddetto.

Tutto questo per dire che, però, ascoltando il nuovo album di Lady Gaga, sempre che così si possa dire dell’operazione messa in piedi da Miss Germanotta in compagnia a quel vero e proprio mostro sacro di Tony Bennett, Cheek to Cheek, mi sono improvvisamente sentito provinciale, periferico e pure inneggiante alla fuga all’estero e alla nostalgia per non essere nato altrove. Questa non è una recensione, lo dico agli hater, così non mi diranno “ma che razza di recensione è?”, non è un articolo sullo stato dell’arte in casa Lady Gaga, idem come sopra, ma è un post che parla della sensazione di disagio che si prova nel percepire quanto, sul fronte della musica leggera, siamo un paese del quinto mondo. Sentire infatti Lady Gaga duettare con l’ultimo dei Crooner, Mr Tony Bennett, su una serie di standard del genere capaci di lasciare a bocca aperta anche il più arido dei possessori di cuori aridi (anche perché suonati da una pletora di musicisti che quei cuori aridi li fa battere al ritmo di swing), mette da una parte gioia, dall’altra angoscia.

Lady Gaga è una numero uno. Su questo non ho mai avuto dubbi, e anche quello che per molti è stato un flop, anzi, IL FLOP, leggi alla voce Artpop, è un album con gli attributi, capace di mettere in fila intuizioni magari non esattamente compiute, ma pur sempre superiori a quelle contenute in buona parte dei concorrenti in circolazione oggi. Lady Gaga è una numero uno, ma lo è nel pop. Confrontarsi coi classici, se da una parte consente di muoversi su un terreno sicuro, perché di brani che hanno superato agevolmente l’incedere del tempo, e che risultano già familiari a buona parte del pubblico, almeno quello più maturo, dall’altro è un terreno minato, proprio perché il confronto con qualcosa che già conosciamo può dar vita a paragoni spesso impietosi. Se in più ci si mette che Tony Bennett è ancora oggi, superati gli ottanta, cioè una età in cui generalmente gli uomini cominciano a perdere voce e lustro, uno che mette in fila chiunque, con una capacità di intrattenimento unica, e una tecnica spaventosa, nonché una interpretazione che ha fatto e fa scuola, Cheek to cheek sarebbe potuto essere per Lady Gaga una specie di canto del cigno. Un flop seguito da un suicidio pubblico, un seppuku degno di Yukio Mishima.

Invece, e solo chi non ha avuto il piacere di seguirla dal vivo o anche solo di ascoltarsi con calma i suoi lavori di studio poteva realmente temere ciò, Lady Gaga si siede, metaforicamente, al fianco del maestro con pari dignità, tiene il palco, sempre metaforico, degli standard senza sbavature, anzi, regalandoci non solo una gran voce e una grande interpretazione, ma una versione di sé spiazzante, sorprendente, da Numero Uno assoluta. Sì, non fosse la conturbante e provocatoria artista che tutti suppergiù conosciamo, quella sempre nuda, estrema, vestita di carne o di pupazzi del Muppet Show sarebbe potuta essere la nuova musa del jazz, una capace di non sfigurare di fianco a un Dio, non avesse optato per una musica evidentemente più sua. Questa non è una recensione di Cheek to cheek, lo ripeto, ma la constatazione che all’estero certi miracoli succedono. Una artista pop può dar vita a un percorso parallelo di primissimo piano, senza che si gridi alla lesa maestà, che ci si inalberi o che ci si senta in qualche modo defraudati di un nostro diritto. Chiaro, qualcuno può avere da ridire sul look con cui Lady Gaga si è presentata alla prima, a Bruxelles, un po’ troppo trasparente, ma con quella voce lì, e soprattutto con quell’arzillo vecchietto al fianco, di che stiamo a parlare?

Lady Gaga c’è. Tony Bennett pure. Noi, probabilmente, lo dice uno nato nella terra di Rossini, non ci siamo proprio mai stati. Vado a sentirmi l’album di Elvis Costello e Burt Bacharach.

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