Solo due giorni fa Giuseppe Guzzetti, presidente di Fondazione Cariplo e dell’associazione che riunisce fondazioni e Casse di risparmio (Acri), ha detto che “se le più importanti banche italiane stanno andando bene è anche per merito degli azionisti”. In prima linea, ovviamente, le fondazioni di origine bancaria da lui rappresentate. Peccato che il Fondo monetario internazionale continui a essere di un’altra opinione. Nel working paper ‘Reforming the corporate governance of italian banks’, l’istituzione di Washington ribadisce (lo scriveva già nel rapporto 2013 sull’Italia) come le banche controllate dalle fondazioni, ma anche le popolari, “tendano a mostrare livelli di capitale più bassi e qualità degli attivi più debole rispetto alla media di sistema”. Aspetti particolarmente preoccupanti mentre sono agli sgoccioli gli “esami” della Bce e dell’European banking authority su patrimonio (stress test) e attivi (asset quality review) delle banche europee. Su questo fronte, peraltro, proprio ieri è scoppiato un piccolo “caso” perché Luca Remmert, presidente della Compagnia di San Paolo che ha il 9,7% di Banca Intesa, ha fatto filtrare che “ci sono indiscrezioni” in base alle quali l’istituto si posizionerà “al massimo livello” nei risultati della valutazione europea, attesi per fine ottobre. Un’uscita che solleva perplessità visto che, come riportato dall’agenzia Reuters, una comunicazione riservata della Consob (messa a punto sulla base delle indicazioni dell’Autorità europea di regolazione dei mercati) prescrive che le fughe di notizie in materia vengano “valutate” dagli istituti che, se le notizie sono vere, devono darne “immediata pubblicazione”.
La vigilanza sulle fondazioni socie degli istituti va dunque rafforzata, scrive il Fondo, perché il loro ruolo “solleva specifiche sfide per la corporate governance”. Esse infatti “non hanno azionisti e sono soggette all’influenza politica, che finisce così per colpire la composizione dei corpi decisionali e le attività delle banche italiane”. Non solo: “Diverse fondazioni presentano una posizione finanziaria indebolita”, “sono esposte ad una concentrazione di rischi” e presentano dei limiti “nelle responsabilità interne e nella vigilanza esterna”. Un problema urgente, secondo il Fondo guidato da Christine Lagarde, visto che “sono azioniste di maggioranza nel 23% delle attività bancarie italiane” attraverso la partecipazione in oltre il 20% del capitale bancario. Senza contare che in molte grandi banche “controllano i consigli con una quota di proprietà anche inferiore, spesso attraverso accordi tra azionisti”. La ricetta prescritta dal Fondo? Monitoraggio di società di controllo private (auditor) ed enti terzi, paletti più chiari sulla rappresentanza delle fondazioni stesse nei cda, periodi più lunghi di intervallo tra ruoli politici e ruoli negli enti, divieto di passaggio dal ruolo operativo in una Fondazione a uno in una banca. L’Fmi cita come esempio il Regno Unito, dove i politici non hanno accesso ai board delle fondazioni.
Nel mirino di Washigton finiscono comunque anche le banche popolari: nel loro caso “le restrizioni imposte al possesso azionario e all’esercizio dei diritti di voto indeboliscono la valutazione di mercato e la capacità delle banche di raccogliere capitale da finanziatori esterni”. Morale: “Anche se le banche italiane hanno recentemente fatto progressi migliorando la loro corporate governance, di più deve essere fatto”. Fondazioni a parte, servono regole più severe sulle nomine di amministratori e azionisti di controllo, urge l’attuazione del nuovo regolamento sulle parti correlate e va facilitata la trasformazione delle banche popolari in società per azioni.
La reazione di Guzzetti non si è fatta attendere: “Non abbiamo bisogno che il Fondo monetario si occupi di noi perché ci stiamo occupando” già della questione. “Forse sarebbe meglio occuparsi delle banche tedesche che non sono sotto il controllo della Bce”. Il riferimento è alle Sparkassen, le casse di risparmio, che in Germania controllano circa il 40% dei finanziamenti alle imprese e il 50% dei crediti ai privati ma sono rimaste fuori dai meccanismi di supervisione di Francoforte, che da novembre assumerà la vigilanza unica sui maggiori istituti della zona euro.