Premetto che non ho assolutamente niente contro le cover band, e cioè i gruppi che interpretano canzoni dei musicisti più famosi. Ho alcuni amici che si dedicano a quest’attività, e mi dicono che sia un modo buono per tenersi in esercizio ed ottimo per fare soldi: per molti locali la cover è l’investimento sicuro, e spesso è più facile portare la gente a sentire una Vasco Rossi – o Baglioni, o Ligabue… – tribute band piuttosto che un gruppo emergente che propone musica originale.
Ciò detto, spostiamoci virtualmente nella mia città, Reggio Calabria. Tra i gravissimi problemi che la affliggono, uno che sicuramente non c’è è la mancanza di una scena musicale. Dal rap al metal, dal punk al folk, gli artisti della provincia reggina sono tanti, seguiti e totalmente credibili. Sette note che hanno radici salde e una storia ricca di episodi sia belli che orrendi, come quello del 1997 quando i proiettili della ‘ndrangheta fermarono per sempre il basso reggae di Totò Speranza degli Invece o, per guardare più vicino nel tempo, l’incendio doloso del Museo dello Strumento Musicale del novembre 2013, che ha causato danni incalcolabili con la distruzione di strumenti antichi e molto rari.
Negli ultimi anni, le istituzioni locali non sono state amiche di questa scena, anzi. Ai tempi delle vacche grasse, prima che Reggio Calabria diventasse il primo comune capoluogo della storia ad essere sciolto per mafia, si tenevano adunate oceaniche per concerti degli idoli nazional popolari o per eleggere la miss di turno, spesso con i soldi pubblici. Poco panem e pochi spazi per i musicisti della città, molti circenses per il pubblico di bocca buona. Con il commissariamento e l’austerity diffusa, ci si aspettava un cambiamento di rotta… che in effetti c’è stato. Ma in che termini?
Ecco che arriva la genialata di cui vi voglio parlare oggi: rullino i tamburi per il Festival Cover Band dello Stretto, tenutosi qualche giorno fa “in sinergia con la Provincia e il Comune di Reggio Calabria”. Sissignori, un concorso di cover band, proposto come evento artistico e culturale di grande importanza. L’idea in effetti è meravigliosa. Non abbiamo più i soldi per far venire il divo di turno… che facciamo? Investiamo il poco che c’è dando spazio ai nostri musicisti? Assolutamente no, meglio chiamare chi copia il cantante famoso! (o, per dirla con le parole dell’organizzazione, chi offre “un live il più possibile fedele all’originale”). La gente che passeggia per il lungomare riconoscerà le popolari melodie e forse, per un attimo e con poca spesa, si sentirà riportata nell’epoca d’oro del sindaco dj.
Buona parte di quelli che creano musica originale a Reggio Calabria sono sul piede di guerra: manifestazioni, compilation, volantinaggi, comunicati stampa. Ma soltanto ora che sto scrivendo mi rendo conto che sbagliano: il Festival delle Cover Band è una grande idea che andrebbe applicata a tutti i settori della vita culturale e produttiva italiana. Non abbiamo più un Monicelli o un Rossellini? Cerchiamo dei cover director! Non saranno mai come gli originali, ma c’è crisi… I nostri giovani intellettuali e creativi hanno troppe esigenze? Cerchiamo dei cover thinker che si accontentino e che abbiano minori pretese, meno che mai quella dell’originalità. E passatami il luogo comune, ma di cover politician ne vedo in girò già parecchi, con la faccia giovane ma idee vecchie e rimasticate. Basta, ormai sono convinto. Le cover band hanno salvato Reggio Calabria, e salveranno tutta l’Italia.