La stampa indiana celebra l'avvenimento sottolineando che sono stati spesi “solo” 71 milioni di dollari, una cifra irrisoria nel panorama aerospaziale mondiale, considerando che un'analoga missione portata avanti dagli Usa costata 485 milioni di dollari. La pellicola, che ha vinto sette Oscar, è costata 100 milioni di dollari e l'India, con 30 milioni di dollari in meno, sul Pianeta Rosso ci è andata per davvero
Andare su Marte? Costa meno che girare un film come Gravity. Ci è riuscita l’India che così è diventata il primo paese asiatico ad avere un incontro ravvicinato con il Pianeta Rosso.
Sette e trentadue del 24 settembre, ora indiana: il canale nazionale Doordarshan (la Rai indiana) riprende lo scroscio di applausi, contenuto e scaramantico, in diretta dal centro di controllo dell’Indian Space Research Organization (Isro) di Peenya, vicino al polo hi-tech di Bangalore. L’ultima modifica alla rotta del satellite Mangalyaam (veicolo di Marte, in hindi) è stata portata con successo, il propulsori sono ripartiti. Se tutto andasse come prestabilito, il satellite indiano lanciato lo scorso 5 novembre 2013 dovrebbe rispondere ai segnali lanciati da terra confermando l’entrata nell’orbita di Marte. Otto e due, ora indiana: Mangalyaam restituisce alla centro di controllo la propria posizione. È ufficialmente nell’orbita del pianeta rosso. Gli applausi si fanno liberatori e lasciano trasparire l’emozione del momento. L’Isro, questa mattina, ha fatto la Storia.
La missione spaziale indiana promuove il paese tra la ristretta élite di potenze mondiali in grado di raggiungere Marte, in compagnia di Usa (la cui sonda Maven è entrata nell’orbita di Marte il 22 settembre scorso), Ue ed ex Urss. L’India di fatto diventa la prima nazione asiatica a riuscire nell’impresa, davanti alla superpotenza cinese. Uno smacco considerevole per Pechino e una prima significativa medaglia che il nuovo premier Narendra Modi può ora appuntarsi al petto, davanti alla comunità internazionale. Nonostante la missione fosse stata pianificata e lanciata durante la precedente amministrazione dell’Indian National Congress, sarà l’attuale governo del Bharatiya Janata Party a passare alla Storia aerospaziale della Repubblica Indiana.
Modi, nel messaggio alla nazione giunto a pochi minuto dall’annuncio del “Mission Accomplished”, ha inserito il successo in una cornice, giustamente, di eccezionalità. “Oggi si è fatta la Storia, abbiamo osato affacciarci verso l’ignoto. L’India ha scritto la Storia, abbiamo raggiunto un risultato quasi impossibile. I numeri giocavano contro di noi: delle 51 missioni su Marte tentate nel mondo, solo 21 sono andate a buon fine. Ma noi abbiamo prevalso” ha dichiarato il premier Modi complimentandosi con gli scienziati dell’Isro.
Ma è un altro il passaggio davvero significativo, la stilettata di soft power alla quale Modi – in settimana atteso negli Usa per la prima missione diplomatica ufficiale in vece di primo ministro indiano – non poteva rinunciare: “I nostri scienziati ci sono riusciti ad un costo inferiore di alcuni film di Hollywood. [Mangalyaan] è stato costruito qui, in uno sforzo pan-indiano da Bangalore a Bhubhaneshwar, da Faridabad a Rajkot”. Il riferimento è alle caratteristiche “low cost” dell’intera missione, progettata e realizzata interamente in India. La produzione di componenti, l’assemblamento del satellite, i software e tutti gli strumenti di comando sono interamente “made in India”. E sono costati “solo” 71 milioni di dollari, una cifra irrisoria nel panorama aerospaziale mondiale, considerando che un’analoga missione portata avanti dagli Usa (col satellite Maven appunto) è costata 485 milioni di dollari. Ma il paragone più ficcante, sulla stampa indiana, è stato fatto col film Gravity, film con George Clooney e Sandra Bullock, che racconta le (dis)avventure spaziali di due astronauti e che ha vinto sette Oscar. La pellicola è costata 100 milioni di dollari e l’India, con 30 milioni di dollari in meno, su Marte ci è andata per davvero. E ci è riuscita al primo tentativo, record mondiale.
I dividendi in termini di soft power sono potenzialmente enormi. Dopo aver incassato le congratulazioni della Nasa – che prima del lancio del novembre 2013 aveva pochissima fiducia nella buona riuscita della missione indiana – si attendono i convenevoli del caso di Pechino, che nel 2011 aveva tentato un’analoga impresa col lancio del satellite Yinghuo-1, fallendo miseramente. Il racconto epico del viaggio di Mangalyaan, qui in India, è stato fatto quasi interamente in termini contrapposti al fallimento cinese. Una “vendetta” lenta e dolorosa che certamente brucierà parecchio al di là della Grande Muraglia.
Nel frattempo nel subcontinente è già Mangalyaan-mania, specie sui social network. I messaggi di congratulazioni si contano nell’ordine delle centinaia di migliaia, la startup indiana Smartur sta per lanciare una app per farsi selfie in 3D col satellite e l’Isro, da questa mattina, ha aperto l’account ufficiale Twitter di Mangalyaan, @MarsOrbiter, che ha esordito con questo tweet: “È rosso, è un pianeta ed è al centro della mia orbita. Che cos’è?”.
di Matteo Miavaldi