“I film non sono forchette o tonno in scatola”. Lo dice il regista sondriese Vittorio Moroni, 42 anni, drammaturgo di successo – con Emanuele Crialese per lo script di Terraferma – che, nelle ore in cui il Festival di Roma pone in apertura e chiusura dell’edizione 2014 i blockbuster di un qualsiasi Natale (Soap Opera con Fabio De Luigi e Andiamo a quel paese di Ficarra e Picone), fa spuntare in una dozzina di sale italiane (qui luoghi e orari) il suo quarto film: Se chiudo gli occhi non sono più qui, lungometraggio di fiction con Giorgio Colangeli, Beppe Fiorello, e il giovanissimo protagonista Mark Manaloto nei panni di Kiko, tormentato adolescente di origine filippina che non trova il suo posto nel mondo attorno a sé.
“Ci ho messo cinque anni per realizzarlo”, spiega Moroni al fattoquotidiano.it, “ho indagato dettaglio per dettaglio prima di girare, quasi stessi facendo un documentario. Volevo fare un film sull’adolescenza oggi, così mi sono fatto ospitare da una scuola di Roma. Mi sono seduto per un mese su un banco in tre classi diverse e ho intervistato ragazzi e insegnanti. Poi ancora ho voluto scegliere un ragazzo di origine asiatica, ma non sapevo di che tipo. Scelta quella filippina ho esplorato la loro vita di comunità. Infine avevo bisogno di un ragazzo orfano di padre e anche qui c’è voluto del tempo. Con il cosceneggiatore Marco Picarreda abbiamo buttato via e riscritto la stesura per mesi e mesi. E nel frattempo abbiamo costruito il castello di fondi per supportare il film”.
Tono di voce deciso, ma mai roboante, Moroni è tra i pochi in Italia ad essere sceneggiatore, regista e produttore dei propri film, oltre ad aver costruito una strada distributiva capillare e anti sistema, peraltro non priva di successo (“dai distributori anche questa volta ho sentito le solite litanie sui miei film che non sono “feel good”), con una sorta di contrattazione sala per sala, spalmata gradualmente settimana dopo settimana per un periodo di sei-dodici mesi: “Ogni volta penso ad un percorso più ‘classico’, ma ho un rapporto viscerale con la mia creatura e non posso accettare la superficialità di un produttore qualsiasi che intaccherebbe l’integrità del lavoro che voglio fare”. 950mila euro di budget, decine di sponsor tra esigui fondi pubblici e tanti privati: “C’è perfino la collaborazione tra un’agenzia di viaggio, la City Travel di Roma, e la compagnia aerea Thai che mostrando la foto del proprio biglietto d’entrata regaleranno un volo per le Filippine”, Se chiudo gli occhi non sono più qui è quello che più si avvicina alla tradizionale definizione di cinema d’autore: “Certo, sono tra quelli che pensano ci debba essere in Italia un modo per non rendere i progetti culturali schiavi completamente delle logiche di mercato”, continua Moroni, “tuttavia la crisi economica c’è in questo paese incupito e quindi tutti quei registi autori, che hanno il privilegio di disporre di cifre produttive poi difficilmente coperte dagli incassi, devono avere senso di realtà rispetto al lusso che possono permettersi. Non li rimprovero, però io che non sono un genio preferisco non piacere a tutti, ma piacere moltissimo ad alcuni, meglio ancora: dare risposte con i miei film a domande che molti si pongo nella vita”.
Parcheggiato per anzianità il camper del ’79 con cui ha accompagnato per mezza Italia l’ultimo film Eva e Adamo, Moroni ha costruito assieme a Mare Mosso e Scrittoio un piano distributivo particolareggiato e sui generis che ogni settimana apre a due-tre sale in nuove regioni con lui o gli attori presenti in sala ad ogni proiezione: “La rivoluzione digitale ci ha aiutato nel contenere i prezzi di riproduzione delle copie, ma molte piccole monosale che ci accoglievano a braccia aperte non ce l’hanno fatta a stare al passo e hanno chiuso. Così punto ancora auna volta alla responsabilizzazione dello spettatore: se il film è piaciuto fate partire un tam-tam per portare altri amici al cinema”. E visto che il film parla di adolescenti ci saranno anche decine di proiezioni nelle scuole italiane, dove i ragazzi potranno raccontare la loro “crisi adolescenziale” e chi o cosa li ha aiutati ad uscirne per poi vedere realizzato un corto sulla storia più visivamente significativa: “In fondo quando il pubblico esce dalla sala dopo che ha visto i miei film si sente sempre “feel good”.