Da un lato Renzi Thatcher, che vuole trasformare tutti in precari per compiacere la Kanzlerin Merkel e del suo fido Tecnomaniaco Draghi; dall’altro i sindacati, rovina del paese, che aggrappati ai propri privilegi, per difendere lo status quo condannano i giovani a un limbo eterno dal quale solo pochi eletti potranno accedere ad un’occupazione dignitosa. Finché il dibattito si consuma tra poli ideologici e tifoseria da stadio è difficile comprendere i termini reali della questione e dunque anche farsi un’opinione informata.
Cerchiamo di partire dai modelli di riferimento.
Chiamiamo Modello 1 un mondo fatto di poche grandi imprese, prevalentemente industriali, che impiegano un numero molto elevato di lavoratori con mansioni quasi identiche tra loro. Il sindacato e la contrattazione collettiva servono a bilanciare la sproporzione di “potere contrattuale” tra le due parti. Se in questo contesto possiamo trascurare l’innovazione tecnologica, la concorrenza internazionale e, entro certi limiti la necessità delle grandi imprese di avere un bilancio in utile (questo avviene ovviamente grazie a un consistente intervento dello stato) è allora possibile mettere in piedi un sistema in cui il rapporto di lavoro dura quasi “finché morte (o pensionamento) vi separi” e una parte rilevante del costo sociale del mantenimento dell’occupazione è posto in carico alle imprese.
In che senso?
Nel senso che invece di offrire al lavoratore, che per qualsiasi motivo non è più necessario (o utile) all’impresa, un supporto da parte dello Stato per ricollocarsi, si sceglie di imporre all’impresa di mantenere quel “posto di lavoro” con vincoli contrattuali o regolamentari. In questo modo, oltre a rendere più difficili le assunzioni (che devono scontare un maggior costo in uscita) si discriminano le imprese più piccole, che non hanno le spalle sufficientemente larghe per gestire gli oneri di questo sistema.
Chiamiamo poi Modello 2, un mondo dove l’innovazione tecnologica e la concorrenza globale esistono (e sono caratterizzate da rilevanti interrelazioni), dove lo Stato ha una possibilità molto minore rispetto al passato di intervenire nell’economia e in ogni caso risorse molto inferiori per farlo. A quale modello assomiglia di più la realtà che ci circonda?
Quella che ha visto negli ultimi 20 anni, l’introduzione degli smartphone e dei tablet dei viaggio low cost e degli acquisti on line? In cui numerose attività economiche (e connessi posti di lavoro) che esistevano in precedenza, dal noleggio di dvd a molti negozi al dettaglio, sono semplicemente spariti? Cosa succede se ci ostiniamo a mantenere gli schemi del modello 1, in un mondo che è molto più vicino al modello 2?
Succede che, dallo scontro tra necessità variabili e articolate nei rapporti impresa lavoratori, contro strutture contrattuali e normative rigide ed obsolete emerge uno scenario molto penalizzante per
1. il livello di occupazione complessivo che risulta inferiore a quello potenzialmente realizzabile per via di:
2. i lavoratori che non beneficiano degli schemi storici poiché
Qual è la morale della favola?
Che ci piaccia o meno il mondo del lavoro attuale è fatto da molte meno megafabbriche in stile Ford degli anni ’30 e molte più realtà in stile Apple o Amazon, inoltre va presa in seria considerazione l’ipotesi che l’ondata più recente di innovazioni tecnologiche abbia l’effetto di distruggere più posti di lavoro di quanti riuscirà a creare e che le competenze richieste dai nuovi posti di lavoro siano difficilmente acquisibili dai vecchi lavoratori.
In questo contesto nascondere la testa sotto la sabbia ignorando la realtà e facendo finta che il mondo sia ancora quello di una volta potrà avere solo effetti deleteri in termini di ulteriore occupazione distrutta (o non creata) e peggiori condizioni per un numero più ampio di lavoratori.
Occorre un meccanismo universale di tutela dei lavoratori che li aiuti ad affrontare un contesto in continuo cambiamento, riqualificandosi ogni volta che si renda necessario, ma soprattutto sostenendoli nelle fasi di transizione da un’occupazione all’altra. Insomma occorre un sistema che aiuti i lavoratori, che sono persone, e non si limiti a difendere i posti di lavoro che persone non sono.