Già altre volte avevo riferito ai miei quattro lettori del curioso incontro – puro caso del destino – con un residuato bellico delle politica protonovecentesca: un esponente della Quarta Internazionale trotzkista.

Esperienza straniante, eppure ricca di lezioni inintenzionali. Vuoi l’impossibilità di mettersi sulla stessa lunghezza d’onda con un alieno che – lo sguardo perso nel vuoto – ti snocciola senza la minima esitazione certezze catechistiche: “Stalin era un servo degli americani”… “Keynes, un fascista”… Al tempo stesso, la presa diretta con i sintomi, dilatati a livello caricaturale quanto tipici di questi anni, della patologia in cui è andata azzerandosi ogni ragione politica (o – più semplicemente – ragionevolezza e spirito critico): la passivizzazione mentale innanzi a credenze identitarie legittimate come Verbo dal profeta di turno; accompagnata da puro odio tendente alla ferocia, seppure di stampo neurovegetativo (una sorta di riflesso condizionato beluino; automatico e furente), nei confronti di chi minaccia la rottura dell’incantamento esprimendo dubbi e riserve.

Qualche giorno fa incontro il figlio poco più che ventenne dell’alieno in questione e non riesco a trattenermi dall’intervistarlo: “Anche tu della Quarta Internazionale?”. Il ragazzo annuisce entusiasticamente: “Fin dalla nascita”. Palese esempio di un indottrinamento devastante che ha bloccato il raggiungimento della condizione adulta (attraverso l’assassinio simbolico del padre come necessario passo liberatorio). Poi aggiunge trionfale: “Sempre meglio che nascere gay” (sic). Non lo sfiora il pensiero – povero fanciullo, tirato su a pane e armata rossa! – che machismo e omofobia sono due sordide sfaccettature del più generale dominio gerarchico-patriarcale: pura oppressione esercitata sbandierando rivoluzioni immaginarie. Ma quello insiste: “Operai in armi contro il capitale”. “E Kronŝtad” (il porto russo dove nel 1921 venne represso nel sangue l’ammutinamento dei marinai), chiedo io? “Anarchici impazziti, che andavano schiacciati per difendere la rivoluzione”, la replica tutta di un fiato.

A questo punto c’è solo la resa. E la pianto lì. Ma intanto rimugino, tra me e me: in che misura questo modo di ragionare (santi contro demoni) è poi così differente da quello degli jiahidisti che vaneggiano nel nome dell’Islam? In che misura bolscevichi giurassici e adepti del califfato mondiale – ovviamente e solamente in quanto a visioni del mondo in bianco e nero – si differenziano nei loro processi mentali dalle moltitudini che in questi anni si sono raccolte attorno al leader di turno, consegnandogli senza riserva alcuna cervello, cuore e altre frattaglie?

L’esercito e le amazzoni di Silvio… i pasdaran degli ‘ayatollah’ Grillo e Casaleggio… i ‘mazzieri’ di Matteo Renzi… Cambiano gli stili comunicativi di riconoscimento, largamente standardizzati nelle rispettive ‘armerie’ di raccolta dei vari marchingegni comunicativi (“comunisti/giustizialisti/vampiri delle tasse” sibilano i berluscones; “supercazzole e rosiconi” sbraitani i grillini; “gufi e disfattisti” bulleggiano i fan del Superbone di Riggiano). Eppure – al di là degli imprinting a pappagallo – il retropensiero resta identico: non toccateci l’icona profetica del nostro rassicuramento.

L’overdose di fideismo che ha istupidito la politica, ormai incapace di dare l’avvio a operazioni dotate di una qualche prospettiva sensata. Mentre la scena pubblica è colma di fumo, che non lascia intravedere una possibile uscita di sicurezza.

Difatti anche l’esperimento Renzi emette segnali di precoce esaurimento politico: la crescente sensazione che il baldo giovanotto non abbia la benché minima idea di come affrontare il disagio sociale montante e che il suo unico disegno sia quello di tenere a bada la protesta sociale – in perfetto stile berlusconian-gelliano – blindando un potere ridotto a comando (la ricetta dell’uomo forte libero da controlli e contrappesi). Ma al declino politico non corrisponde un contestuale indebolimento elettorale, visto che niente e nessuno contrasta con l’uso della ragione la costituzione di quel blocco sociale di impauriti ed abbienti con cui trionfare alle elezioni; la cui ideazione Renzi ha scippato al proprio mentore Berlusconi.

 

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