E' scritto nero su bianco nel dossier pubblicato dal Gruppo Antimafia Pio La Torre di Rimini, intitolato “Emilia Romagna Cose Nostre", che ricostruisce 40 anni di infiltrazioni nella regione. Il rapporto collega tutti i puntini relativi alle inchieste condotte nel territorio. "Tenere alta la guardia"
“La mafia si è insediata stabilmente in Emilia Romagna perché la politica ha voltato la testa, o ha agito in collusione con i clan. E oggi si arricchisce soprattutto grazie al gioco d’azzardo e all’edilizia”. E’ un viaggio attraverso la cronaca di un biennio di operazioni criminali che incatenano tra loro tutte le provincie di una regione in cui da tempo, ormai, le cosche mafiose hanno messo radici profonde e solide, il nuovo dossier pubblicato dal Gruppo Antimafia Pio La Torre di Rimini, intitolato “Emilia Romagna Cose Nostre”. Un rapporto scritto dai volontari della Riviera, in collaborazione con l’associazione culturale Gruppo dello Zuccherificio, con un duplice scopo: ricostruire i fatti di mafia che tra il 2012 e il 2014 hanno avuto come fulcro l’Emilia Romagna, terra produttiva e perciò ambita dalle cosche, “perché conoscere è il primo passo per combattere”, ma anche comporre una “cassetta degli attrezzi che fornisca, a chi si accosta al tema della criminalità organizzata, un motivo in più per dedicare una quota del suo tempo al contrasto alle mafie”.
“Oggi la mentalità sta cambiando, in Emilia Romagna – spiega Patrick Wild, del Gap di Rimini – e se una volta, quando parlavi di mafia al Nord, gli amministratori scuotevano il capo, finalmente si sta prendendo coscienza della gravità del fenomeno. Ma non basta: le indagini dimostrano che i clan si stanno allargando anche in aree della regione che un tempo erano considerate ‘sicure’”. Il dossier collega tutti i puntini relativi alle inchieste che le forze dell’ordine e la magistratura, “impegnate in prima linea per arginare la marea di mafie che si è abbattuta sulla Regione”, hanno condotto negli ultimi due anni, e si divide in quattro parti: La prima, dove si disegna la cornice entro cui “le cosche si sono arricchite al limite dell’opulenza”, la seconda, dedicata al narcotraffico, la terza, “il filo conduttore che lega 40 anni di mafia in Emilia Romagna, cioè gioco d’azzardo e bische clandestine”, e infine il rapporto completo di tutte le operazioni antimafia condotte in Riviera.
“A calcare le terre emiliane sono in questo momento 11 organizzazioni mafiose – spiega Gaetano Alessi, del Gruppo dello Zuccherificio – e se il resto del mondo batte l’Italia per 7 a 4, schierando nell’ordine la mafia Nord Africana, Nigeriana, Cinese, Sud Americana, Rumena, Ucraina e Albanese, l’Italia risponde con Cosa Nostra, Camorra, Sacra Corona Unita e la ‘Nrangheta, suddivise in 62 cosche”. Un incipit da romanzo che però si intreccia con l’attualità, e per capire l’origine del fenomeno si parte dal passato: “L’Emilia Romagna è stata terra di migrazioni, mafiosi patentati e potenti inviati dallo Stato nella rossa Emilia per ravvedersi”. Così oggi i tentacoli della piovra si avviluppano un po’ in ogni in ogni città, grande o piccola che sia, e sullo sfondo ci sono i traffici di sostanze stupefacenti, il riciclaggio, l’estorsione, l’usura, le minacce, oltre che il gioco d’azzardo usato come ‘lavatrice’ e la presenza delle aziende mafiose nell’edilizia: appalti, movimento terra e trasporti.
Solo qualche voce di un elenco lungo e in corso d’opera, riassunto in un dossier che, i volontari del Gruppo Antimafia Pio La Torre non lo nascondono, ha richiesto un prezzo da pagare. “Dalla gomma tagliata alla mail intimidatoria, ai computer o agli strumenti tecnologici violati da parte di quei ‘signori’ che non capiscono perché questi ragazzi vogliano tenere pulito il loro piccolo angolo di mondo. Passando per i tentativi di isolamento messi in atto da quei ‘professionisti dell’antimafia’ per i quali il contrasto alla criminalità potrebbe fermarsi all’utilizzo di fondi pubblici distribuiti a iosa”. Tuttavia, come spiegava qualche tempo fa l’ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, “la lotta alla mafia (tutti lo sanno, o dovrebbero saperlo) non si può fare solo a livello di repressione giudiziaria. L’azione delle forze di polizia e dei magistrati riesce a incidere in profondità solo se integrata con un risveglio del contesto sociale. Tenere alta la guardia, creare una mobilitazione di opinione pubblica”. Ed è per questo, spiega il Gap di Rimini, che è nato il dossier: “Lasciamo a voi questa cassetta per gli attrezzi e speriamo che anche voi vorrete metterci qualcosa dentro”. Per scaricare il dossier: www.gruppoantimafiapiolatorre.it/sito/