E così il recupero urbano alla fine si realizzerà. Per decisione del Tar. Siamo a Lecce, nelle vicinanze del Castello di Carlo V, negli spazi dell’ex caserma Massa, demolita nel 1971. Un’area di proprietà comunale che comprende le aree pubbliche risultanti dalla demolizione dell’ex complesso militare. Un’operazione che prevede la realizzazione di un parcheggio interrato per 498 posti auto, il recupero dell’area fuori terra da destinare in parte a “piazza coperta” ed in parte a mercato rionale, centro commerciale con galleria e negozi e centro direzionale con uffici.
Un progetto di project financing da 21 milioni di euro per la durata di 90 anni tra il Comune e la Ditta De Nuzzo. Uno dei progetti pubblicizzati sul sito online del Comune tra quelli in corso d’opera. Descrizione in dettaglio dei lavori, con tanto di rendering. A metterne a repentaglio la realizzazione la stratificazione archeologica dell’area. Con i resti del Convento dell’Osservanza della Vicaria di Bosnia fondato nel 1432, quelli dell’ampliamento del 1591, quando la struttura passò ai padri della Serafica Riforma di San Nicolò in Puglia. Infine quelli della Caserma del Tempio, dei decenni finali dell’Ottocento, dedicata ad Oronzo Massa.
Un rischio al quale gli attori dell’operazione urbanistica non pensavano di andare incontro. Confortati anche da una relazione del 1997 del Dipartimento dei beni culturali, nella quale si escludeva la particolare rilevanza archeologica del sito. In ogni caso nel 2012 la Soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia aveva concesso il nulla osta al progetto, imponendo tuttavia alcune prescrizioni. A partire da un’indagine preliminare, per consentire lo scavo delle strutture esistenti e quindi la loro documentazione. Alla quale aggiungere il recupero dei materiali mobili più significativi. Ma anche, successivamente, una sistemazione della piazza nella quale fosse riproposta la pianta delle strutture conventuali e della chiesa. Insomma la questione sembrava risolta.
Invece, alla fine del giugno scorso è sopraggiunto il parere della Direzione generale per i Beni culturali e paesaggistici della Puglia, che ha aggiunto ulteriori prescrizioni. Necessarie per salvaguardare l’area archeologica, ma incompatibili, secondo il Comune e la ditta De Nuzzo, con il progetto presentato. Da qui il ricorso al Tar e l’inaspettata sentenza. Motivata dal fatto che non sarebbe stata adeguatamente documentata dagli enti pubblici regionali la necessità di rivedere il progetto. I giudici del Tar hanno specificato che già nel 2012 “le Soprintendenze avevano tutti gli elementi per la decisione su come conservare la struttura muraria della fabbrica religiosa” e inoltre anche “la Direzione Regionale aveva espresso parere favorevole sul progetto definitivo seppure con alcune prescrizioni alle quali sia il Comune che la De Nuzzo avevano ottemperato”. A distanza di due anni, però l’opinione si è ribaltata giudicando che “fosse preferibile conservare l’intera struttura della chiesa e non più, come ritenuto nel 2012, solo una parte di quelle fondamenta, dopo aver comunque affermato la non rilevanza archeologica dei resti del vecchio insediamento”. L’ “intoppo” rimosso. La matassa sbrogliata. Il cantiere può dunque riprendere. Almeno fino al possibile appello al Consiglio di Stato.
Tra un passaggio e l’altro della vicenda la politica locale, quasi collegialmente, ha dato l’impressione di utilizzarla strumentalmente. Piuttosto che farla divenire occasione di confronto, auspicabilmente con il coinvolgimento dei cittadini, delle associazioni, a partire dal comitato per la tutela dell’ex Massa-Santa Maria del Tempio. Magari anche per un ripensamento, ad esempio sull’area dell’opera.
A Lecce si risolve un vuoto urbano colmandolo con parcheggi interrati e attività commerciali. Decidendo che quei resti cinquecenteschi scoperti nelle indagini preliminari non debbano incidere in alcun modo nella progettazione. Con un elemento tutt’altro che trascurabile. A schierarsi con il costruttore dell’opera, c’è il Comune. Perlomeno la maggioranza guidata dal sindaco di Forza Italia Paolo Perrone. L’idea perseguita nella città salentina di separare architettura e urbanistica dalla storia e dalle testimonianze archeologiche, tutt’altro che isolata. A Roma, nel vuoto tra Piazza della Moretta e via Giulia, sembra prospettarsi lo stesso esito. Con le testimonianze obliterate da un parcheggio (semi)interrato. Sembra così rimanere prevalente la visione degli ultimi decenni. Una visione a metà per la quale l’urbanistica deve necessariamente cannibalizzare le testimonianze del passato. Oppure, nella migliore delle ipotesi relegarle ad ambiti marginali.
Così anche a Lecce nuove poderose cubature in una zona al centro delle due piazze più rappresentative della città, Piazza Mazzini e Piazza Sant’ Oronzo. Una zona che sarebbe potuta divenire strategica se riempita di funzioni piuttosto che svuotata di significati. Una potenziale polarità privata dei suoi caratteri identificativi. Insomma, una scelta che appare scriteriata per la città in qualunque modo la si voglia considerare. Quasi un autogol in previsione della candidatura a capitale europea della Cultura nel 2019.