Ci sono periodi dell’anno, momenti che sembrano non finire mai, in cui Napoli è al centro dell’attenzione. Ci vanno tutti – e non mi riferisco ai turisti – armati di telecamere perché Davide Bifolco è morto, perché il rione Traiano è diventato più famoso di Piazza del Plebiscito e del lungomare messi insieme, perché c’è la famosa frase “la camorra ci difende, lo Stato ci uccide” che va avanti per inerzia, quasi quanto un hashtag di Renzi. Allora i talk show e i programmi di approfondimento si armano e mandano qualsiasi giornalista si trovi libero per mostrare che i tre al Rione Traiano senza assicurazione, senza patente e senza casco non erano un’eccezione, ma la regola, e che quello slogan a favore della malavita è sulla bocca di tutti.

Servizio Pubblico e Striscia la notizia sono solo gli ultimi di una lunga serie, troppo lunga per una città che in altri momenti è ignorata, considerata uno stato straniero in suolo italiano. Forse è meglio così perché la parte che fa più spettacolo (che coincide, ahimè, con la maggior parte) è quella dei senza casco, dei parcheggiatori abusivi e delle risposte arrabbiate di chi non vuole avere un padrone. Prevale l’atteggiamento menefreghista per cui bisogna avere e mai dare, spiegato alla perfezione dalle risposte date agli inviati di Servizio Pubblico e Striscia: “Non è un problema tuo se il casco non ce l’ho” e “Oggi siamo tre, ma a volte andiamo a quattro”, e dalla faccia sembra dire “ci piace pure”. Non si sa, però, se a cadere nel tranello siano i giornalisti che non capiscono la provocazione o i napoletani che hanno dato al giornalista ciò che voleva.

Ma il problema – ma anche la domanda dalla quale iniziare – è un altro, davvero i giornalisti credono di aver capito il problema? Credono che con i caschi, a due sul motorino, con assicurazione e patente sia tutto risolto? Che invertendo la famosa frase e gridando ad alta voce “lo Stato ci difende, la camorra ci uccide” si possa dare una svolta a una città che non vede via d’uscita? Che senza i parcheggiatori abusivi e le auto in doppia fila si possa avere vita nuova? Non è così, non serve questo e non servono nemmeno i filosofi che, dopo la morte di Davide Bifolco, hanno iniziato a tracciare, con svariati editoriali, il profilo del napoletano da sconfiggere e dello Stato troppe volte assente. Non servono i sofismi per capire Napoli, un’analisi seria può essere fatta solo durante un periodo di (apparente) tranquillità, proprio come gli antropologi andavano a studiare le comunità indigene per lunghi periodi.

Solo così potranno capire che l’inno a difesa della camorra è solo una strumentalizzazione, un modo per attirare l’attenzione, che lo Stato è sempre stato visto come un nemico perché è quello che dovrebbe dare i sussidi a chi non lavora o a chi guadagna in nero. Quello delle case popolari (comprese le cantine) da affittare per lucrare. Insomma, a Napoli hanno voglia di affermare che lo Stato non c’è mai stato perché la cosa più bella è poter dire che senza leggi stanno bene e non hanno bisogno di nulla. Forse per abitudine, forse per rabbia repressa, forse perché la morte di un sedicenne è un’occasione troppo ghiotta per giustificare una vita nell’illegalità.

Twitter: @carlovalentino2 

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