Fino agli anni ’30 siamo stati il secondo produttore al mondo di canapa per quantità, dopo la Russia, e primi per qualità: oggi la canapa in Italia può diventare un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Mentre la Camera dei Deputati ha avviato la discussione per una legge quadro che regoli il settore ed è stato da poco inaugurato in provincia di Taranto il secondo centro di trasformazione, anche il CNR dà il suo contributo con due anni di studi scientifici volti ad indagare le applicazioni future della canapa industriale (che contiene al massimo lo 0,2% di THC), con particolare attenzione all’utilizzo degli scarti delle lavorazioni di questa pianta. E’ il progetto VeLiCa (Vegetali, lino e canapa) finanziato dalla Regione Lombardia che ha coinvolto l’Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari (ISTM), l’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria (IBBA), l’Istituto per lo studio delle Macromolecole (ISMAC) e l’Istituto di Chimica del riconoscimento Molecolare (ICRM), da cui sono nati due brevetti e altri studi per fare in modo che la canapa torni ad essere una coltivazione remunerativa per gli agricoltori. “La strategia – ha spiegato a ilfattoquotidiano.it la dottoressa Nicoletta Ravasio, responsabile scientifico del progetto – è stata quella di valorizzare i residui e gli scarti delle varie trasformazioni creando una gamma di bioprodotti di notevole ricchezza. Abbiamo allestito dei campi sperimentali con canapa e lino in Lombardia con l’obiettivo di eseguire nuovi studi sui prodotti che possono derivare da queste colture per dare idee a giovani start up italiane (Video – “Mettiamo i fiori nei nostri mattoni”) e fare in modo che una coltivazione tradizionale che ben si adatta al nostro territorio torni a crescere nei nostri campi per dare vita ad un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale” di Mario Catania
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