Società

La ricchezza ha vinto: l’uguaglianza è morta

Mi ha sorpreso, durante il viaggio americano di Renzi, leggere delle lodi e del compiacimento dedicati al primo ministro italiano da Marchionne, che intanto, per precauzione, ha portato via la Fiat dall’Italia. E ascoltare l’elogio di Renzi al “Made in Italy” della nuova azienda ex italiana, insediata a Detroit (Michigan), e intanto spiegare a Marchionne che in Italia solo i “poteri forti” si oppongono alla sua legge contro il lavoro detta “Jobs Act”. Evidentemente i poteri forti sono Landini e Camusso, Fassina e Cuperlo (con i loro miti ritocchi). E intanto Renzi stava festosamente accanto alla persona che ha sottratto all’Italia l’intera tassazione Fiat. C’è un insegnamento in questa serie di modesti eventi. C’è la storia del come si liquida l’uguaglianza, mito e fatti. Provo a raccontare.

La vera guerra che attraversa il mondo è la guerra all’uguaglianza. È accaduto questo: la ricerca dell’uguaglianza come traguardo necessario ma anche ragionevole, in un mondo di pace, era cominciato nel dopo guerra del secolo scorso, e tendeva a diffondersi, un continuo, cauto lavoro di ridistribuzione della ricchezza, senza conflitti, senza lotta di classe, attraverso carte costituzionali, partiti, parlamenti, centri di studio, volontariati. Stava diventando “comune” l’idea che una persona non dovesse soffrire più di un’altra, senza rapporto col reddito. Come la scuola per tutti, che non è affatto peggiorata e ha fatto fare un salto in avanti alla cultura (il più grande nell’epoca industriale), fino ad ammassare folle di cittadini davanti ai musei. Come le case, Si è cominciato a costruirle per chi non avrebbe potuto farlo. E le auto che costavano poco.

L’avvicinarsi dell’uguaglianza, non più un ideale ma un fatto, aveva dato scopo e forza alle istituzioni, e senso di appartenenza ai cittadini. Il mondo accennava a essere, come si usava dire, “un mondo migliore”. Conviveva con i mercati, e li sosteneva a causa dell’ottimismo. Ma ai mercati veniva posto il limite di non decidere sulla vita delle persone. In molti casi gli Stati facevano da guardiani. Fino a un certo punto, d’accordo. Ma è in questo clima di marcia di tutto il mondo democratico verso l’uguaglianza (che la democrazia, di per sé, non assicura) è diventato inevitabile garantire i diritti umani e i diritti civili o comunque battersi per essi, ha provocato l’opposizione giovane e popolare alle guerre, ha provato a garantire allo stesso modo l’imprenditore che offre il lavoro e colui che, per vivere, è il prestatore d’opera, ha invogliato, sia pure entro limiti ancora ristretti, il finanziamento per la casa della famiglia giovane, il prestito per lo studente povero, le cure mediche quando sono troppo costose ma indispensabili.

Come è finito tutto questo? C’è chi dice che la caduta del Muro ha tolto ogni restrizione al “capitalismo buono”. La rimozione di rischi e pericoli lo ha riportato alle origini, ognuno per sé. L’altra versione è che due fatti nuovi, la globalizzazione e la trasformazione del danaro in danaro senza passare per la fabbrica, hanno cambiato di colpo la scena della vita: per il lavoro vai a cercarti gli schiavi dove costano sempre meno (e prima dello sciopero viene l’incendio del ghetto-fabbrica, che elimina un intero organico compresi i bambini illegalmente in servizio) e il nuovo accesso al danaro. La sua capacità di salire attraverso moltiplicazioni prive di controllo, verso ricchezze più grandi, ridicolizza i mille vincoli sul dare e avere lavoro. Tanto che dopo, nell’era di Renzi, quei vincoli li puoi inventare a caso, senza rapporto con fatti e persone vere, e senza che abbiano nulla a che fare col creare posti di lavoro. È un prendere o lasciare che non offre vie d’uscita a chi non può lasciare. Non c’è bisogno di dire (e sarebbe ridicolo) che Renzi partecipa alla grande operazione mondiale di fine dell’uguaglianza. Semplicemente è uno che ha visto quanto potere puoi gestire se fai l’agente per l’Italia della grande offensiva contro l’uguaglianza (riempiendo il vuoto di “nuovi diritti” che non garantiscono niente).

I fatti dicono questo. Il mondo ricco è impegnato a ristabilire le distanze: chi non possiede deve stare molto più in basso, chi sta sopra non può essere raggiunto da fastidiosi controlli che disturbano il moltiplicarsi della ricchezza, le tasse per il minimo concesso di servizi sociali, (debitamente tagliati) sono a carico esclusivo dei non abbienti.

Intanto bisogna cancellare subito diritti e speranze che adesso si chiamano con spregio “ideologie” o, al massimo, “miti”. Tutto ciò ha alcune conseguenze immediate. L’informazione perde fonti (troppa distanza fra alto e basso della torre sociale) e acquista padroni (serve avere stampa e Tv, non per muoverla ma per tenerla ferma e distratta). La corruzione sfugge facilmente ai controlli. In una rivoluzione vinta dalla ricchezza, diventa sempre più difficile distinguere un tipo di ricchezza dall’altro (tra loro le ricchezze tendono a rispettarsi e a fare affari). La magistratura appare un ingombro pretenzioso e inutile, ed è in corso uno sforzo per rimuoverla di fatto dal ruolo di terzo potere della democrazia. Del resto questo sforzo svela l’altro, di svilire o con l’abolizione o con l’umiliazione, il potere delle Camere, in modo da scavare un vallo protettivo intorno al potere esecutivo. È il momento di rafforzare il conducator, attraverso l’elezione diretta e la trasformazione in Stato presidenziale.

E così siamo giunti all’esito del lungo viaggio per la cancellazione dell’uguaglianza. Che la Costituzione ne faccia un pilastro non è più un problema. Anche la Costituzione è sotto l’impalcatura dei “lavori in corso”.

Il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2014