Matteo Bianco, dopo la laurea a Torino e porte chiuse in Italia nel terzo settore, si è trasferito a Santiago. "Se escludiamo i quattro direttori generali sono il più anziano", dice. Gli mancano gli affetti di casa ma la delusione per i troppi 'no' prevale. Al momento
Di lavori in Italia ne ha fatti tanti, ma per riuscire a realizzare il sogno di lavorare nella cooperazione ha dovuto cambiare continente. Matteo Bianco ha 30 anni, è nato e si è laureato a Torino ma da quattro mesi si è trasferito a Santiago del Cile per lavorare per una ong. “Ho frequentato la facoltà di giurisprudenza – racconta – interrompendola al secondo anno perché non mi vedevo come avvocato. Ho deciso allora di iniziare a lavorare per mantenermi e provare a farmi strada così, senza avere un titolo. Ho fatto un po’ di tutto, dal muratore all’elettricista, poi il rappresentante per un’industria tedesca che vendeva acciaio e infine il barista”. Però il suo sogno era ancora lontano: “Ho deciso di ricominciare a studiare mentre lavoravo al bar. Mi sono riscritto a giurisprudenza, con indirizzo diritto internazionale. E’ stata molto dura, andavo a lezione la mattina, poi staccavo per il pranzo e tornavo il pomeriggio a lezione, di nuovo a lavorare per la cena e andavo a dormire all’una. Poi si ricominciava”.
Dopo la laurea cerca un lavoro nel terzo settore, ma senza avere risultati: “Ho inviato tantissimi curricula, cercando lavoro sotto forma di stage, ma mi sono sempre sentito rispondere che non c’era nessuna possibilità. Mi sono offerto anche a titolo gratuito pur di poter fare esperienza, ma niente”. Così arriva la decisione di partire, spinto anche da un amico architetto che aveva studiato in Cile e che era deciso a trasferirsi lì perché anche lui in Italia era disoccupato. “Io non sapevo lo spagnolo, non sapevo nulla di questo Paese – confessa Matteo – ma dopo essermi fatto aiutare a scrivere il cv, in un mese ho fatto tre colloqui. E ho trovato uno stage pagato, con possibilità di inserimento futuro in una ong, America Solidaria, che opera in America del Sud e del Nord per il superamento della povertà attraverso progetti nello sviluppo, nell’educazione e nella sanità”. Finalmente il suo sogno sembra così prendere forma: “Io lavoro nell’area ‘alianzas’, che si occupa di ricercare partnership, ma a marzo mi piacerebbe partire per un anno e andare ad Haiti per un progetto sul campo”.
Il Cile lo ha accolto a braccia aperte e Matteo ha imparato ad apprezzare la dinamicità di questo Paese in espansione: “Sono felice, sento che qui i giovani sono valorizzati: per esempio nella mia fondazione, che sviluppa grandi progetti. Io che ho 30 anni sono il più ‘vecchio’, esclusi i quattro direttori generali. E, in generale, preferiscono proprio assumere i giovani. E ora che una ragazza lascerà il posto di lavoro, per il suo sostituto si cerca qualcuno che non abbia più di 25 anni”. Del Cile Matteo elenca quelli che a suo avviso sono pregi e difetti: “Il Paese è in sviluppo, il costo della vita per adesso non è alto e c’è una bassa pressione fiscale. Però vedo un forte consumismo, oltre che un grande inquinamento. In più istruzione e sanità sono quasi solo private”. Dell’Italia, però, gli mancano gli affetti. “Mia madre, a cui devo tutto e che ho sempre nel cuore. E i miei amici”, spiega. Ma per il momento la delusione per i tanti rifiuti ricevuti in patria è troppo forte: “Uno che deve fare a un certo punto? Prende i suoi sogni, le sue speranze, le mette in una valigia e cerca fortuna da un’altra parte, sperando di poter tornare un giorno. Come dicono qui, ‘ojalà’, speriamo”.