Lo sostiene l'ispettore Carmine Gallo, imputato per favoreggiamento. Nel 2008 fu coinvolto in un'inchiesta di droga. Durante il suo interrogatorio rivelò che il comandante del Ros di Padova sostenne che lui, assieme al dottor Nobil e all'avvocato Maris, costituivano una spectre in grado di pilotare le indagini
“Nel corso dell’interrogatorio il pm non mi contestò nulla, fui io spontaneamente a riferire quanto a mia conoscenza. Fu in quella circostanza che il comandante del Ros di Padova, esplicitamente, disse di essere a conoscenza che vi era un trio, nella Procura di Milano composto dall’Ispettore Carmine Gallo, dal dottor Alberto Nobili e dall’avvocato Gianluca Maris, che faceva il brutto e il cattivo tempo. Rimasi esterrefatto. Ebbi paura”. Il sospetto di una “spectre” nasce così. Protagonisti: un noto avvocato, l’attuale procuratore aggiunto ed ex pm antimafia, e uno dei poliziotti più esperti in fatto di crimine organizzato. Sullo sfondo un’inchiesta di droga coordinata dal Ros di Padova che mette insieme ex estremisti di destra, collaboratori di giustizia e quel singolare trio che a Milano in procura era in grado di pilotare le inchieste. Ore 10 di oggi, terzo piano del tribunale di Milano, quarta sezione presieduta dal giudice Marco Tremolada. Aula deserta. Parla Carmine Gallo, dirigente del commissariato di Rho, ma soprattutto poliziotto antimafia capace, in oltre trent’anni di servizio, di coordinare le più importanti inchieste sulla ‘ndrangheta in Lombardia, grazie, anche, alla gestione di decine di collaboratori di giustizia. Oggi, però, Gallo parla da imputato e fa spontanee dichiarazioni alla corte. Parole pesanti che coinvolgono il corpo speciale dei carabinieri. Dette in aula, verbalizzate. E sulle quale, naturalmente, il Ros avrà la possibilità di replicare nelle prossime udienze del processo.
Carmine Gallo è accusato dalla procura di favoreggiamento e rivelazione di atti coperti da segreto. Ultimo atto di una via crucis giudiziaria iniziata all’alba del 28 ottobre 2008, quando la polizia perquisisce il suo appartamento. All’epoca Gallo che lavora alla squadra Mobile finisce indagato per narcotraffico dalla procura di Venezia. Con lui l’ex estremista di destra Angelo Manfrin e Federico Corniglia, ex riciclatore delle cosche, poi pentito e, su ordine della magistratura, gestito da Carmine Gallo a partire dagli anni Novanta. Col tempo Corniglia diventa un confidente del poliziotto. Il dato non sembra essere a conoscenza del Ros che nella sua informativa scrive: “Si constatava come Corniglia si tutelasse dalle indagini intraprese nei suoi confronti tramite un noto appartenente alla Polizia di Stato”. Da qui l’accusa di traffico di droga. Che, però, in cinque anni si svuota. Tanto che il 14 gennaio 2013, la procura di Venezia, dopo che la Cassazione ha smontato l’impianto accusatorio, restituisce a Gallo, difeso dall’avvocato Antonella Augimeri, 80mila euro sequestrati nel suo appartamento. In calce poche righe: “E’ stata esclusa la sussistenza di un fenomeno associativo nel distretto del Veneto”.
La palla passa a Milano. La Procura chiede il giudizio immediato per Gallo. La storia riprende. E dal campo della droga si passa a quello ben più complicato dei rapporti tra forze dell’ordine e collaboratori di giustizia. Cambiano anche parte dei protagonisti. Oltre a Corniglia e a Gallo entra Roberto Pedrani, ex trafficante, ex estremista di destra arrestato in Brasile nel 2008 con 25 chili di droga. E’ il luglio 2008. Corniglia riferisce a Gallo dell’arresto di Pedrani. Il poliziotto fa partire un’inchiesta informando il procuratore Nobili. Nel settembre 2008 una nota ufficiale della Direzione centrale servizi antidroga (Dcsa) informa che la polizia di Milano e il Ros di Padova indagano su Pedrani. I carabinieri vengono informati da Gallo che prima sente i suoi superiori. Siamo a pochi giorni dalla perquisizione. Corniglia chiede a Gallo il nome dell’operazione dei Ros. Si chiama Testuggine ed è quella che porterà all’arresto di Manfrin. Gallo lo riferisce a Corniglia, suo confidente e noto a tutti come collaboratore di giustizia. Tanto basta perché il poliziotto venga indagato.
Torniamo allora all’interrogatorio. “Gli operatori – ha detto in aula Gallo – mi riferivano che non ero io l’interesse del pm bensì un’altra persona a me molto vicina e della quale avrei dovuto parlare e solo in questo caso mi sarei potuto salvare”. Quindi si arriva alle parole del comandante del Ros di Padova dette fuori verbale e che Gallo conferma in aula. “Mi chiesi perché la dottoressa Tonini non interveniva. Poi capii che il pm era condizionato dalle opinioni dei suoi collaboratori, lei stessa mi fece dure osservazioni sul modo di procedere di Alberto Nobili, su come era trattato il procedimento a carico di Pedrani e soprattutto sul nostro metodo di gestione dei collaboratori di giustizia. E mi disse testualmente che se le avessi detto ciò che lei voleva sapere ne avrebbe tenuto debito conto”. In sostanza, ha spiegato sempre ieri Carmine Gallo, “i carabinieri del Ros di Padova intrecciano una serie di sospetti anche su di me a loro avviso, mente diabolica in grado di avviare prima l’inchiesta milanese con Nobili e poi determinare l’avvio di quella Svizzera, al solo fine sottrarre loro le indagini e comunque salvare me (sodale di Manfrin e del suo gruppo criminale) e il mio confidente”.
Risultato: il 14 giugno 2010 il procuratore aggiunto di Milano Alberto Nobili viene sentito a sommarie informazioni dalla Dda di Venezia. Nel breve verbale il magistrato conferma che l’indagine su Pedrani partì da una segnalazione di Gallo. Poche parole che lo stesso Nobili dovrà ripetere in aula quando sarà chiamato a testimoniare in questo processo dimenticato dai media, ma decisivo per comprendere le dinamiche non sempre trasparenti tra uomini dello Stato e uomini delle organizzazioni criminali.